venerdì 17 agosto 2012

Vasari, Greenberg, Danto: Prima dopo e durante..la Critica mette ordine



La questione che si pone evidente negli ultimi scritti della critica contemporanea è che il mondo dell'arte attuale, avendo a disposizione tutta una storia passata, possiede anche gli strumenti per mettere ordine li dove è il caos a regnare sovrano.
A cominciare questa opera di definizione fu originariamente Giorgio Vasari. Il suo Vitae (1550-1568), con la quale opera si apre ufficialmente la Storia dell'Arte, propone una narrazione pittorica progressiva sino al massimo grado di rappresentazione possibile. Il filo conduttore era la “mimesis”, l'imitazione del naturale, ed era su questa che si basava  il giudizio di gusto comune. Per Vasari infatti, Michelangelo e Raffaello potevano considerarsi i massimi interpreti delle ambizioni Rinascimentali.

Questo intento al naturalismo si osserva diligentemente fino a che, ed è Greenberg che subentra al Vasari con il saggio Pittura Modernista (1965), Manet e gli Impressionisti non irrompono nella scena artistica prima francese, poi Europea, mettendo in discussione tutta la tradizione artistica precedente. Influenzati anche dalle scoperte circa la fotografia di Deguerre (anni '30 dell' Ottocento), in grado come e più della pittura di mostrare la realtà così com era senza particolari difficoltà tecniche, si determinò un'improvvisa ripensamento nel mondo dell'arte che porto la pittura, e più tardi anche la scultura, ad allontanarsi rapidamente dalla rappresentazione naturalistica, aumentando senza accorgersene il suo raggio d'azione, liberandosi dagli obblighi della “raffigurazione formale forzata”. Il suo ruolo smise di essere quello di mero reportage e cominciò ad esprimersi secondo specifiche altamente personali: si frammentano le forme attraverso la luce, si mettono più in generale in evidenza tutto ciò che sino ad allora veniva tenuto nascosto e considerato come “mancanza” da parte dell'artista; di lì in poi infatti bidimensionalità, colori puri, pennellate esplicite e supporti grezzi divennero cifra stilistica e pratica comune di quel particolare contesto storico che era il XX secolo. L'arte aveva cominciato la sua opera di purificazione che vedeva in Pollok il suo massimo interprete. Per questo motivo, per aver di lì in poi dato inizio a quella nuova consapevolezza che Greenberg ritiene essere caratteristica fondamentale dell'opera moderna, gli Impressionisti vengono etichettati come i veri primi modernisti.

Ma con Arthur Danto si approda ad un grado di consapevolezza ancor più profondo.
Con Dopo la fine dell'arte (1997), egli pone in essere delle questioni primarie su cosa sia l'arte contemporanea oggi, e su come sia possibile distinguere l'arte contemporanea da quella moderna.
Ci è voluto relativamente poco per porre queste domande al centro del dibattito culturale ed artistico. Se si pensa al salto dall'arte rinascimentale del '400 fino agli impressionisti di metà '800, 
30 anni sono relativamente pochi per voltare pagina, ma sono anche sintomo della velocità con la quale la modernità avanza.
E' plausibile che Arthur Danto possa realmente considerarsi un nuovo punto d'inizio per la Storia dell'Arte futura.
Quando egli afferma "l'Arte è finita" non intende assolutamente dichiarare che la produzione artistica cessa improvvisamente di esistere. Sostiene al contrario che quella che avremo difronte da oggi in poi sarà un' arte talmente diversa da quella passata, che non potrà più essere sottoposta agli stessi interrogativi di prima.
Ciò che Danto ritiene sia finito è un filo conduttore, il progressivo sviluppo di una narrazione che ha visto l'arte porsi come diaframma ottico tra la realtà e la rappresentazione.
Tutta la storia dell'arte ha avuto a che fare con l'illusione come dice Steinberg, (Altri Criteri, 1972), ma da un certo momento in poi questa scissione tra arte e realtà è sembrata essere meno evidente.

I primi accenni del cambiamento vengono dai ready-made del 1913 di Duchamp, che innalzavano al ruolo di arte degli oggetti comuni, e spesso utili, contravvenendo al pensiero pionieristico di Kant, secondo cui l'arte è bellezza e la bellezza non ha nulla a che vedere con l'utilità, con alcuno  scopo, se non quello di essere bella di per sé. (Critica del Giudizio)
Ma è con i Brillo box del '64 di Warhol che arte e realtà si fondono, sino a non riuscire a determinarne le differenze necessarie.
Quale è la differenza tra i brillo box esposti in un museo e quelli esposti lungo le corsie di un supermercato?....





Nessun commento:

Posta un commento