martedì 18 dicembre 2012

Newman...Newman.


Newman...Newman.

La ripetizione invita inevitabilmente a riflettere.
Quando si afferma che per comprendere l'arte bisogna esser preparati si dice una banalità che spesso non viene considerata. Senza una giusta riflessione infatti si affronta l'opera con un bagaglio di preconcetti indiscutibilmente forvianti.
Il pregiudizio senza la conoscenza sottintende un'evidente dato di fatto, che si chiama ignoranza.

Questa premessa sottolinea come di fronte a personalità così profonde come è quella di Barnett Newman, si debba cautamente procedere evitando di farsi soggiogare dalle prime impressioni, come fece chi scrive la prima volta che lo avvicinò.

Non comprendevo cosa volesse intendere Newman con questi enormi muri colorati, divisi da fasce alternate in maniera del tutto arbitraria nel mezzo dello spazio pittorico.
Non conoscevo il suo trascorso lavorativo, quello che lo ha visto abbandonato da tutti coloro che egli promosse nel corso della sua attività artistica, sia con saggi sia con mostre dedicate o tramite numerose interviste a tema.
In poche parole ero completamente disorientato dal suo lavoro che per me rimaneva un'incognita priva di senso.

Rappresentava semplicemente la modernità, tiepidamente intesa come la capacità di ridare bidimensionalità alle immagini; la capacità di mostrare il colore come strumento primario della ricerca pittorica; capacità di esplorare lo spazio in maniera più meticolosa e meno caotica di quella promossa dall'Espressionismo Astratto. Tanto bastava per me nel promuovere Newman come ambasciatore del Minimalismo dei successivi anni '60.

Forte di una preparazione figurativa che credevo sufficiente, tutto ciò che distogliesse l'attenzione dalla forma era incapace di suscitare interesse. L'Astrazione era per me quella di Pollock non quella di Newman. I miei limiti erano evidenti.
La figurazione era un porto sicuro al quale attraccare. Avevo certezza di senso, certezza di forma e d' impianto prospettico. Certezza di rimando storico ed un' iconografia rintracciabile. Certezza di scindere tra ciò che sono io e ciò che rappresenta l'opera.
Io sono il fruitore tu sei l'opera. Io ti osservo e tu sei li per lasciarti scrutare.
Quando invece osservi qualcosa di incompreso, di "astratto" appunto, cominci a chiederti di cosa si tratti ed allora finiscono le certezze; la forma scompare, i limiti vengono meno, ti dimentichi dello spazio circostante poiché senti quasi di esserci finito dentro, tuo malgrado senza le giuste coordinate.
Ammiravo chi riusciva a stare di fronte ai suoi dubbi, alle sue infinite interpretazioni senza tuttavia subirne la grandezza.

Credo di aver voluto fuggire l opera di Newman perchè incapace di affrontarla.

Nell'aprile del 1951 la seconda mostra dell'artista 46enne Barnett Newman fu un fiasco completo, ancor peggiore di quanto non fosse stata la sua prima personale svoltasi sempre a NY l'anno precedente.
I suoi compagni astrattisti lo avevano abbandonato accusandolo di averli traditi.
Ed effettivamente se si vede nelle opere che precedono il 1950 quest'accusa appare del tutto giustificata.
Se nelle prime tele infatti lo spazio che circondava le bande verticali era mosso e impreciso, così da accostarsi alle ricerche di Rothko e compagni, dopo gli anni '50 le stesse tele ospitano delle campiture di colore più attente, assolutamente delimitate nei bordi, prive di qual si voglia
"espressione" istintiva.

Quali allora le domande che suscitano i suoi lavori.

1.Perche Newman rompe con il suo recente passato?
Ciò che egli voleva era determinare anzitutto lo spazio della tela poi quello dell'ambiente circostante. Quando sostiamo difronte ad una campitura imprecisa la prima cosa che salta agli occhi è la banda di colore diverso, la quale immediatamente occupa il primo piano, allontanando lo sfondo sul retro della visuale. Allora Newman colora sia spazio che banda con la medesima modalità di stesura. Se guardiamo ora notiamo che spazio e forma (la banda) sono un tutt'uno con la superficie.

2.Perchè la presenza delle bande?
Anzitutto “zip”. E' così che Newman preferisce considerarle poiché uniscono e non dividono. Quelle zip siamo noi. È la nostra presenza verticale che si rifà alla tradizionale visione verticale propria dell'uomo. E siamo ancora noi che in mezzo allo spazio ci troviamo a viverlo non sapendo di esserne ai limiti o al centro, piuttosto spostati di un terzo al suo interno.

3.Ancora, Perchè quelle dimensioni?
Perchè quelle dimensioni rappresentano non solo lo spazio, ma il campo visivo, ed è per questo che i suoi quadri devono essere visti da distanza ravvicinata, per entrarci dentro e farne parte. Gli unici punti di riferimento sono le zip presenti, che poi siamo noi.
Guardare queste grandi opere da una distanza maggiore vorrebbe dire includere tutta l'opera in una sola unità, cosa che è assolutamente il contrario dell'intento di Newman, che intendeva intromettere non lasciar fuori.

Non c'è più profondità ne secondi piani, semanticamente non vi è più passato, non vi e più storia. Vi è al contrario un'unica dimensione di tempo e di spazio che è la superficie e perciò, il solo presente.
Newman tenta di azzerare la tradizione pittorica per ricominciare da capo. Vuole tornare alle origine. Ricomincia da noi, dalle persone, attraverso lo strumento principale che è la visione, e lo fa attraverso una saturazione dei colori rendendoli estremamente manifesti tanto da suscitare in qualche sconsiderato la necessita forse inconscia di violentarla con tagli selvaggi ed irriverenti.

Questa "reazione" la dice lunga sull' incapacità di essere al cospetto di queste opere.  

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