martedì 11 dicembre 2012

"[...] sono solo dei vecchi mobili pieni di polvere."


La terza camera è un' istallazione presentata da Flavio Favelli nel 2007 al Centro Commerciale di Cinecittadue in Roma.
Intenzionata a comprenderne il senso, la curatrice Simona Brunetti pone le domande che crede più opportune:

Cosa vuole dire Terza Camera?
Perché la scelta di questa esposizione?

Favelli risponde che la Terza Camera è un ambiente della casa di montagna di famiglia. Una stanza che raccoglieva oggetti e mobili, come fosse una soffitta o un ripostiglio, ma che differentemente dai comuni spazi domestici come questi, era aperta agli ospiti e sempre ordinata.
E' un luogo della memoria che suscita nell'artista il ricordo di un ambiente familiare ed evidentemente tanto suggestivo e sinistro da doverlo riprodurre in un opera.

Lei parte dagli oggetti o dai ricordi che questi oggetti le suggeriscono?

Favelli parte sempre dagli oggetti per poi arrivare ai ricordi e mai viceversa.
Il collezionismo di suppellettili e oggetti vari spiega, è una passione ereditata dal nonno.
Pierluigi Sacco, giornalista di “Flash Arte” lo definirebbe “un trovarobe” instancabile.

Come possono questi oggetti così chiaramente tanto personali aprirsi al mondo dell'arte?
Quale il loro significato intrinseco?

In questi ambienti egli è come se rivivesse, stavolta come parte attiva e non subordinata, la sua infanzia infelice, spesso piena di solitudine in ambienti quasi mistici e pieni di oggetti più o meno preziosi.
Riaffiorano alla memoria i suoi “viaggi d'arte”, che assieme alla madre condivideva per evadere dalla quotidianità.
Per Favelli l'arte già da bambino rappresentava uno strumento di libertà emotiva.
Forse è per questo che gli oggetti di ieri divengono le opere d'arte di oggi.
Non solo tenta di esorcizzare i suoi incubi infantili ma come direbbe Freud ne “il gioco del rocchetto”, tenta di riappropriarsi della sua soggettività smarrita.

Proviamo ad aprire una finestra nella pratica psicoanalitica per tentare di comprendere meglio questo mio rimando...
Durante le sue prime esperienze di medico, Freud analizzando il comportamento di un infante all'interno del suo nucleo familiare, rimase colpito da come il bambino non soffrisse affatto l'abbandono della madre ogni qual volta si allontanava da casa.
Dopo averlo seguito per alcuni giorni, Freud notò un comportamento anomalo e ripetitivo nei confronti di un rocchetto, che il bambino lanciava, emettendo un suono di evidente soddisfazione, per poi riprenderlo e ricominciare l'azione del lancio, da capo.

Così facendo, sostiene Freud, il bambino si liberava della frustrazione inconscia dell'abbandono materno, divenendo parte attiva. Era lui che ora abbandonava la madre/rocchetto, non più viceversa il rocchetto/madre che lo abbandonava.
La diagnosi è una tendenza inconscia che definisce una "coazione a ripetere".

Considerando quindi un punto di vista più personale che non prettamente artistico e iconografico, questo aspetto della ripetitività, della "ri- produzione" della memoria, potrebbe rivelare delle dinamiche affettive interessanti nel modus operandi di Flavio Favelli.

Ri-allestendo quelle sale, egli ripropone quegli stessi spazi della memoria affrontandoli a viso aperto, stavolta come adulto.

Nessun commento:

Posta un commento