mercoledì 28 novembre 2012

NUOVI AMICI...The Italian Bookclub


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Grand Verre (1915-1923)


Quando Marcel Duchamp nel 1913 pone una ruota di bicicletta su di uno sgabello, non ha certo la consapevolezza si tratti di un readymade. “L'opera d'arte già fatta” è un concetto che svilupperà qualche anno più tardi, intorno alla fine degli anni '60. Quella, dice con aria di assoluta sufficienza, era semplicemente un occasione per riflettere sul movimento, non c'era nulla di ciò che la critica più tardi gli avrebbe attribuito.
Quindi senza accorgersene, il 25enne Marcel dà vita alla più grande e moderna rivoluzione in campo artistico: l'opera d'arte non riguardava più un illusione, come da sempre aveva fatto, ma oggetti comuni, prelevati e decontestualizzati dalla realtà ed innalzati a ruolo di opere d'arte. Questo il senso della ruota di bicicletta, o forse della ancor più celebre fontana (R. Mutt).
Inizialmente incompreso dai suoi contemporanei, poi punto di riferimento di artisti, critici d'arte e appassionati. Il suo entourage cresceva, le sue conoscenze spaziavano dal Vecchio al Nuovo Continente, assicurandogli sia un legame con la tradizione, sia una spinta riformatrice segno del tempo che cambia.
Ruota di bicicletta è solo una scusante di cui mi sono servito come Storico dell'Arte per introdurre uno spirito bizzarro, uno sperimentatore come lo fu Leonardo ai suoi tempi, se pur con le dovute differenze.
Riflettendo su di una sola opera che possa incorporare sia il legame con il vecchio che quello con il nuovo, che possa cioè conciliare esperienza e scoperta, penso ovviamente al Grande Vetro.
Un vetro di poco meno di 3 m per 2, diviso in due sezioni, na superiore una inferiore che lascia intravedere molto più che una semplice tela figurata.
I suoi lavori precedenti sono serviti certamente come strumento di comprensione, una sorta di elementi guida che lo hanno accompagnato dal 1915 al 1923. Una gestazione molto lunga che ha visto l'artista meditare a lungo attraverso opere e disegni. 
Nella ricerca di una nuova dimensione, i suoi compagni europei optano per una dislocazione spaziale della figura, riducendola ad un puzzle di immagini sovrapposte e concomitanti. Alcuni altri, quelli d'oltreoceano, rivolgono i propri interessi al mondo astratto, alla purezza del mezzo, alla liberazione emotiva.
Duchamp invece, riduce le sue figure ad assemblati metallici, lasciandosi da una parte soggiogare dalle avance dell'astrazione ma interloquendo al contempo con Cubismo e l' innovazione surreal-DADA.
E' il punto di vista che cambia.
Perchè illudere lo spettatore quando questo può realmente interagire con oggetti reali?
Perchè usare una tela ed aumentare il distacco tra opera e spettatore se è possibile usare il vetro come materiale d'unione, in cui il fruitore possa addirittura vedere “oltre” la superficie sentendosi parte integrante del progetto artistico?
Duchamp si allontana progressivamente dal retinico rincorrendo una materialità inattesa, ma spesso evocata a gran voce.






Il punto di partenza: l'Eros, motore del tutto.
Soggetti partecipanti: la Vergine in alto a citare l'Assunzione raffaellesca e i suoi Scapoli o Celibi sottostanti, in trepida attesa.

Il desiderio, tramutatosi in materia, compie i passaggi necessari per arrivare a possedere la Sposa/Vergine.
Molto più che una provocazione, un oltraggio che gli valse sovente l'etichetta di “scandaloso”.

martedì 27 novembre 2012

DUCHAMP: LINGUAGGIO DI UNO SPIRITO BIZZARRO


Nel 1949, durante una tavola rotonda nelle quinte dell'Esposizione al San Francisco Museum of Art, Marcel Duchamp risponde alla domanda, "cosa si aspetta da un critico?":
"Non granchè. Qualunque cosa dica il critico l'opera parla per sè"
........
...allora lasciamo che a parlare siano semplicemente loro.
........
da una parte il grande incompiuto, Le Grand Verre;
dall'altra la sua manifestazione più convincente, Etant Donnès.
Domanda & Risposta