mercoledì 14 aprile 2010

Sul Manierismo


A conclusione di uno studio e di ragionamenti riguardanti il periodo chiamato incautamente ed in maniera del tutto semplicistica ”manierismo”, (quasi si volesse per forza contenere una mole cosi grande di concetti e stravaganze entro uno scrigno che, per quanto prezioso, risulterebbe troppo piccolo) credo sia giusto trovare il bandolo della matassa ed augurarsi che questo esca allo scoperto.

Percorrendo un tragitto come questo è come se lo vedessimo diramarsi in mille direzioni
differenti; In questo caso una chiave di lettura adeguata non sarebbe sceglierne una ma
alzarsi fantasticamente da terra e lasciarsi cadere, a caso, poiché ciò che rappresenta il XVI
sec. non è la finalità ma ciò che sperimenta per arrivarci; non si cura di un risultato poiché è
esso stesso risultato di sé.Parola chiave credo sia il “contrapposto”, “l’antitetico”:tutto è il contrario di tutto, facce diverse di una stessa medaglia, non curante di un significato
definitivo…Riforma e Controriforma, sperimentalismo e conformismo,”regola e licenza”(A.Pinelli),
classicismo e anticlassicismo, naturale e antinaturale…Questi sono i concetti che abitano le menti dei personaggi del ‘500, siano essi artisti, poeti o
rappresentanti di chiesa.Il fine è il non definire. La risposta è il concetto espresso nel mezzo del dualismo.D'altronde se ci si sofferma più attentamente su ciò che scrive il Vasari nel suo proemio alla

terza età delle sue Vite, ci si accorge che anche qui, nel pieno degli anni in cui viene scritto

(1550 poi corretto nel 1568), c’è una contraddizione in termini tra maniera come ”bella

maniera” e maniera come “ridotta a maniera”…due facce appunto della stessa medaglia.Il termine è il medesimo ma riguarda momenti differenti.Nel primo caso la bella maniera è intesa come un traguardo, tagliato nel suo libro da
Michelangelo, massimo esponente di una ricerca cominciata con Cimabue e Giotto nel
“disegno”, matrice di tutto.Nel secondo ci sono significati differenti. Ridursi a maniera simboleggia quasi una stucchevole
ripetizione che non può essere compiaciuta.Si può partire da qui per giustificare le due parole chiave di “contrapposto” e “antitetico”.Lo stesso potremmo fare con due personaggi che meglio rappresentano questo contrasto di
idee.
Prendiamo come punti di riferimento lo stesso Giorgio Vasari e in quel momento il più
anziano maestro Jacopo Pontormo:il primo veste i panni di ambasciatore e guida di una scuola di pensiero del tutto personale e
sicuramente conveniente…sempre al servizio della committenza (in questo caso dei Medici),
“uomini da bene” come lui stesso ama definirsi, rappresentante altresì di un contesto di rigore

controriformista degli anni ’60 (il Concilio di Trento si chiuse nel 1563).
Anni completamente differenti quelli in cui si muove il Pontormo, in un'area di venti
riformisti che poi culmineranno con il Sacco di Roma del 1527 da parte dei Lanzicchinecchi
luterani agli ordini di Carlo di Borbone.

Vasari stesso ce lo presenta:

“…non avendo fermezza nel cervello andava sempre cose nuove ghiribizzando…andava sempre
investigando nuovi concetti e stravaganti modi di fare, non si contentando e non si fermando in
alcuno…la bizzarria e la stravaganza di quel cervello di niuna cosa si contentava giammai…”Cause di questo rancore, che sembra celarsi all’interno di queste frasi, sono competizioni
profonde contro “la cerchia del Tasso”(Battista del Tasso, artista vicino a Pierfrancesco Riccio, maggiordomo di corte dei Medici e cappellano della sagrestia medicea in san Lorenzo,

al quale furono affidate tutte le decisioni per le commissioni in campo artistico-culturale dalle
quali il Vasari fu in un primo tempo escluso).

Ma cosa più importante è la totale diversità di
stile di vita, e di arte, condotta dai due.Vasari, attento sostenitore ed interprete di una imitazione della natura che sia quanto più
veritiera;Pontormo, avanguardista ribelle di uno sperimentalismo sempre sopra le righe.Ciò che scatenò gli artisti dai primi decenni del secolo è stata la consapevolezza che ciò che di
perfetto dovesse essere fatto lo si era già fatto con Leonardo, Michelangelo e
Raffaello…sommando poi quella pittura definita “senza errori ” di fra Bartolomeo e
soprattutto Andrea del Sarto, si ebbe come un sussulto istintivo che volgesse l’interesse
altrove.Parlando di sussulto istintivo parliamo di emozioni, di inconscio, di ansie, turbamenti interiori
propri di artisti come il Pontormo e Rosso fiorentino che non puntavano su una pittura
esaustiva ma coinvolgente.Ecco perché Vasari scrive”…si aggiunse alla regola una licenza (libertà espressiva) che, non

essendo di regola, fosse ordinata nella regola, e potesse stare senza far confusione o guastare
l’ordine…”Una “licenza” sintomo di un'ormai assodata dimestichezza con la perfezione della natura e diun importante e autonomo status sociale.Questa licenza, sino al drastico cambio di rotta delle regole controriformiste, diventava modus

operandi di ogni singolo artista “libero”.In questo scritto c’è inoltre quello che rappresenta il termine di “electio”:Partendo dal fatto che la perfezione nel ritrarre il naturale si fosse già raggiunta, l’artista
prese licenza di rappresentare la natura portandola all’estremo di una natura ideale,

prendendo le cose migliori che ella contenesse e ritraendole insieme, maniera dopo maniera,
come si volesse aggiungere amore su amore, lacrime ad un pianto, felicità ad un sorriso.Inevitabilmente però forzare la natura non ottenne plausi ogni dove.Piacque però l’idea dell’artificiosità di una “…garbata dialettica…–come ci suggerisce il

Pinelli-…tra norma ed eccezione,razionalismo e irrazionalismo,tra natura ed artificio…un gioco

evasivo e venato di scettica ironia dove le tesi e le antitesi si annullano o si stemperano…”Tutto questo però si traduce in una artificiosità naturale, innata, quasi istintiva, semplice
”grazia ed eleganza”.Ricordiamo che accanto alla pittura e alla scultura troviamo spunti anche in letteratura,
trovando personaggi quali Pietro Bembo e Pietro Aretino, maggiori esponenti di uomini
letterati del secolo;Accanto ad essi ci sono opere quali “il libro del Cortigiano” di Baldassarre Castiglione e “il
Galateo” di Giovanni della Casa, che esprimono concetti legati ad un comportamento
modello, appunto di grazia ed eleganza, da assumere in società.Dalla grazia ed eleganza, nonché misura, dei comportamenti, ai capricciosi voli pindarici di
opere dense di significato grazie all’uso dell’ ”ossimoro”, in voga nella letteratura di tutto il
‘500 come figura retorica predominante.…freddo sole, corri piano, anticamente moderno, natura artificiosa…questi sono esempi dei

concetti che vengono espressi, portando un'eco, anche se non immediata, nelle
rappresentazioni, in pittura così come in scultura:Nelle grottesche perfettamente adatte a simulare il concetto di capriccio;nelle rappresentazioni di corpi contrapposti;in massicci e virili corpi maschili accompagnati dai sinuosi corpi femminili;in movimenti continui e mai finiti.Oppure come ne “Gli Amori degli Dèi ” di Perin del Vaga dove il Dio Ercole indossa vesti di

seta e la donna, Onfale, tiene tra le mani una clava.Ed in scultura con il “Ratto delle sabine “ di Giambologna, nel suo contrapporre tre opposti
movimenti a simboleggiare le tre diverse età, uomo donna e vecchiaia.Ciò che ci rivela questo secolo è un'accelerazione culturale, che pone le sue basi
nell’imitazione della natura e che quasi la stravolge , a modo suo, alla ricerca di nuove
sicurezze, perse nell’anima di un popolo che ha vissuto un susseguirsi di vicende
storiche che, per quanto numerose e destabilizzanti, ben si sposano con una cosi vasta
irrequietezza artistica.