venerdì 15 febbraio 2013

anche FortissimamenteArte a sostegno del Film "Girlfriend in a coma"..


..non già perchè ci fa piacere ricevere consigli, non già perchè incapaci di riflettere noi stessi, ma soprattutto perchè incapaci di reagire...NON E' POLITICA...LA CENSURA DEL MAXXI E' FACILMENTE DEFINIBILE COME UNO SBAGLIO DI INCOMPETENZA STORICA, prima ancora che morale..sbagli che già sono stati evidenziati lungo TUTTA la Storia della Cultura.



Se la Storia ci ha insegnato qualcosa è che le censure non arginano l'impatto dirompente delle idee, anzi, ne accrescono la gittata.

Ma perchè proprio al Maxxi? Perchè si voleva cominciare dalla riflessione sull'arte..dalla materia cui più ci compete

L'aver promosso la proiezione del FIlm "Girlfriend in a coma" avrebbe sicuramente reso merito al Maxxi di esser stato in grado, sponte propria, di ergersi quale trascinatore di una "nuova Rinascenza" Culturale e Morale di cui questa Signora, l'Italia, da troppo tempo ha ormai bisogno.

giovedì 7 febbraio 2013

Conferenza su Paul Klee del Prof. Giuseppe Di Giacomo



Conferenza tenuta dal Prof. Giuseppe Di Giacomo, invitato dai curatori Tulliola Sparagni e Mariastella Margozzi in riferimento ovviamente alla sua vasta competenza e al saggio “Introduzione a Klee” scritto nel 2005. Insegna Estetica presso la Facoltà di Filosofia dell' Università la Sapienza di Roma.

Autore anche di un testo fondamentale nel panorama storico critico e filosofico internazionale come “Alle Origine dell'opera d'arte Contemporanea” pubblicato in collaborazione con Prof. Claudio Zambianchi, docente di Storia dell'Arte Contemporanea nel medesimo Ateneo.

In occasione della mostra di “Paul Klee e l'Italia” presente allo GNAM di Roma (Galleria Nazionale d'Arte Moderna) fino al 27 Gennaio, FortissimamenteArte vi propone i primi 28 min dell'intervento del Professor Di Giacomo....quando la Filosofia si lega all'Arte il risultato è semplicemente affascinante.







1967: Due mostre a confronto tra Genova e Foligno.



- Mostra di Foligno nel Giugno del 1967, di Gino Marotta e Lanfranco Radi, “lo spazio dell'immagine” a Palazzo Trinci, il tutto patrocinato dall'allora vicesegretario del partito della DC Flaminio Piccoli.


- Germano Celant nel settembre/ottobre del 1967, da vita al termine “Arte Povera” nel catalogo della mostra di Genova, presso la Galleria della Bertesca di Francesco Masnata.



Entrambe le mostre vengono “allestite” (vedremo poi il motivo del virgolettato) in un momento culturale particolarmente fecondo in l'Italia, che aveva visto primeggiare l'esperienza artistica dell'Informale, intesa come corrente appartenente alla sfera del gesto ed alla negazione della raffigurazione tradizionale; esperienza che si allarga all'intera Europa, una sorta di risposta all'Astrazione americana ed alla recente produzione di stampo Minimalista.


Francia (con Dubuffet e Froutrier) e Italia (con Fontana e Burri), divengono sorvegliate speciali della prima produzione Informale.

Se dietro le motivazioni della Mostra di Genova l'Arte povera rifiutava, guardando alle mode americane, quella serialità consumistica schiava di una produzione industriale, quella di Foligno apre a scenari completamente nuovi. L'opera d'arte ammonisce la sua riproducibilità attraverso il suo montaggio, specifico per quella mostra e per quello spazio.
Non è più lo spazio ad adattarsi all'opera ma l'opera stessa ad adattarsi allo spazio condiviso.

Ecco perchè il concetto di allestimento è di fondamentale importanza, perchè ottiene una considerazione tale da paragonandosi al significato stesso dell'opera, anzi è il suo precedente più importante poiché senza quel particolare allestimento non gli è possibile assumere quel determinato significato.

Tra le distanze causali però vi sono anche delle condivisioni oggettive. Entrambe le mostre vengono promosse in Italia, entrambe nello stesso anno (anzi a distanza di pochi mesi l'una dall'altra), entrambe confermano l'importanza fondamentale che l'Italia aveva tra gli anni '60-'70, sia per quanto riguarda le riflessioni sui temi più attuali, sia per la spinta progressista verso la modernità.

Foligno: Quando parlo di allestimento parlo di costruzioni come quella di Gino Marotta in Bosco Naturale o Artificiale, parlo di costruzioni come quella di Gianni Colombo in After Structure, parlo di costruzioni come quella di Ceroli in La Gabbia. L'opera d'arte allora non è più un oggetto da guardare ma un esperienza da vivere.

Ugualmente a Genova: artisti come Boetti, Fabbro Kounellis, Pascali, si riappropriano di uno spazio pre-industriale, quasi rurale contemplando tradizione e artigianato.

venerdì 1 febbraio 2013

dal quotidiano "La Repubblica" uno spaccato di vita. "Duchamp: la sposa ignorante e il genio provocatore"


Un matrimonio così, tanto per fare. Senza alcun dialogo né prospettive né romanticismo. Protagonisti una giovane borghese casta, pingue e non estrosa, e un genio di rara perfidia, alieno ai sentimenti e non immune da sadismo. Lui è Marcel Duchamp, animatore di dadaismo e surrealismo, iniziatore dell' arte concettuale, ironico e perturbante nichilista capace di trasformare oggetti presi dalla vita - scolabottiglie, ruote di biciclette, orinatoi - in somme opere d' arte, i ready-made. Lei, Lydie Sarazin-Levassor, sua prima moglie, buttata via dopo pochi mesi d' insulsa convivenza, gli ha dedicato un libro di memorie ingenuo e doloroso, molto istruttivo sull' indole patologicamente anaffettiva dell' uomo con «lo sguardo più intelligente del ventesimo secolo», come disse Breton (verificare per credere la straordinaria bellezza di Marcel nei ritratti esposti in questi giorni al Pac di Milano, nella mostra di Ugo Mulas La scena dell' arte). Già uscito in francese e in inglese, e ora edito in Italia da Archinto (pagg. 204, euro 22), il libro s' intitola Uno scacco matrimoniale, con riferimento alla mania più coltivata da Duchamp, scacchista insigne e ossessivo. Il sottotitolo, Il cuore della sposa messo a nudo dal suo scapolo, anche, implica una citazione ancor più sofisticata, visto che l' opera più importante di Duchamp, manifesto del suo credo, è La Mariée mise à nu par ses célibataires, même. Il che, applicato a questo diario coniugale d' irrimediabile comicità e tristezza, esprime in modo pertinente lo stato di disagio di una candida Demoiselle d' inizio Novecento catapultata negli anni irriverenti della rimessa in discussione dei valori dopo la Grande Guerra, e veramente «messa a nudo», nel suo piccolo e stupido cuore traboccante di aspettative, da uno scapolo spietato. Quando conosce Duchamp, nel ' 27, Lydie ha 24 anni, i suoi genitori stanno per divorziare e lei non sa che fare della propria vita. Suo padre ha un' amante, Jeanne de Monjovet, cantante alla moda che vuol essere sposata, e la madre di Lydie acconsentirà al divorzio solo se prima si sposerà la figlia. Germaine Everling, compagna del pittore Francis Picabia, fa conoscere alla ragazza Marcel, all' epoca in cerca di moglie con dote cospicua. Lydie trova «bizzarro» quest' artista che ha abbandonato la pittura per concentrarsi sugli scacchi, mentre Duchamp si dice affascinato dall' ignoranza catastrofica di lei: «Meraviglioso ignorare tutto a tal punto!». E già al secondo incontro la giovinetta è innamorata di questo strano quarantenne che ammira l' incultura di lei e che fa sfoggio di un cappotto di lupo canadese, di un' incredibile profusione di cravatte e di una tuta da falegname indossata al posto della vestaglia. Da allora compiono escursioni gastronomiche quasi quotidiane in giro per Parigi, consuetudine compulsiva che caratterizzerà la loro unione. Marcel è tornato a Parigi dopo il lungo soggiorno americano, dove ha prodotto i primi scandalosi ready-made, si è applicato alle follie ermetiche e alchemiche della Mariée, detta anche il Grande Vetro (due enormi lastre di vetro racchiudono lamine di metallo dipinto, polvere e fili di piombo), e ha fondato con i mecenati Katherine Dreier e Walter Arensberg la Society of Indipendent Artists. Lydie, a fianco di Marcel, scopre un mondo stravagante e avanguardista di cui non comprende nulla, animato da eroi come Picasso, Cocteau, Kiki de Montparnasse e Yvonne George. Non conosce il lavoro di Duchamp, e resta disgustata dalla prima opera che vede, il Moulin à café. L' incompatibilità è evidente: a lei piace cantare (ma è stonata), lui detesta la musica; lei crede nella reincarnazione, mentre lui trova ridicoli i temi metafisici. Piuttosto ama la matematica e i giochi di parole osceni, che lei trova abominevoli. Eppure si fissano le nozze e si decide che la coppia abiterà nel piccolo studio di Marcel, in Rue Larrey. L' arredo si compone di un' esilarante raccolta di ready-made: utensili da medici acquisiti come arnesi da cucina, padelle da ospedale come piatti di portata, dondoli che pendono dal soffitto al posto dei letti. La casa, al settimo piano di un edificio senza ascensore, è un antro sordido col gabinetto alla turca, una moquette consunta e una brutta stufa di ghisa. Quando Lydie vi porta le sue valigie, Marcel reagisce con un attacco di nausea. Il matrimonio viene celebrato il 7 giugno 1927, con Man Ray che filma la cerimonia e Picabia come testimone, e nei giorni successivi gli sposi, i quali insistono nel darsi del voi, trascorrono il tempo, comme d' habitude, a mangiare. Lydie elenca intere mappe culinarie: stinco di montone alla Gare d' Austerlitz, cotolette alla Villette, rognoni fritti alla Porte d' Orléans, cous cous alla Moschea. Duchamp rivela vari chiodi fissi: l' odio per Freud («quel tipo di Vienna vizioso e pervertito»), la passione per i luoghi pieni di portuali (quando viaggia vuole dormire in infimi alberghetti nei porti) e il ribrezzo per i peli, per cui la obbliga a depilarsi con lo zolfo. Non le racconta quello che nel ' 20 era stato il suo primo film, distrutto durante lo sviluppo della pellicola e girato con Man Ray: la rasatura pubica della baronessa Elsa von Freytag-Loringhoven, incarnazione del Dada a New York e celebre per i suoi cappelli carichi di carote e barbabietole. Lydie frequenta suo malgrado gli amici di Marcel, in particolare Brancusi e Man Ray. Il primo è uno scultore rumeno che la ammette nella sua cerchia dei Maurice, secondo il nome che dà alle persone «di animo puro», con l' esito di un susseguirsi di serate alcoliche tra Maurice Lydie, Maurice Marcel e Maurice Brancusi. Il secondo è descritto come un ometto ipocrita, meschino e tirchio, che quando la accoglie nel suo studio per farle un ritratto (lei lo giudicherà orrendo) la nasconde all' arrivo di un mercante, umiliandola come una prostituta. Il matrimonio Duchamp viaggia di male in peggio durante una gita nel Midi, sulla 5 Cavalli di lei. In campagna, mentre Picabia esibisce il vezzo di sparare alle gomme della macchina che lo precede, Lydie diventa sempre più grassa e Marcel si fa secco e cupo. Tornati a Parigi, le annuncia di aver affittato per loro due un appartamento più spazioso e le impone di risistemarlo. Poi la invita a spostarsi da sola nella casa nuova e a trovarsi al più presto degli amanti. E quando sono convocati dal giudice per il divorzio estrae dalla tasca un libriccino di indovinelli invitandola a giocare insieme, per ingannare l' attesa. Lydie lo definisce un bricoleur più che un artista e un mostruoso cacciatore di dote, capace d' infierire sulle sue vittime con perversione chirurgica. Negli anni Settanta, sposata dal ' 43 con Pierre Fischer, le brucia ancora lo scacco. Spinta dagli organizzatori della grande retrospettiva su Duchamp presentata al Centre Pompidou nel ' 77, scrive la sua grottesca cronaca matrimoniale, di cui una rivista pubblica alcuni estratti nell' 89, un anno dopo la morte della signora. Il libro completo esce nel 2004, curato e commentato (con appendice di note minuziose) dal semiologo Marc Décimo, che riceve il dattiloscritto dal figlio di Lydie, Claude-Olivier Fischer. Da parte sua Marcel, morto nel ' 68, aveva lietamente rinunciato al celibato sposando nel ' 54 Alexina Sattler Matisse, detta Teeny, rimastagli accanto per la vita. Quanto a Lydie, la patetica sposa messa a nudo, dopo il divorzio da Marcel avrebbe adottato per se stessa il nome di «Lydiote»: così firmava le sue lettere. Per dire quanto devastante fosse stata l' esperienza.

LEONETTA BENTIVOGLIO (articolo pubblicato il 7 febbraio 2008)