Quando Marcel Duchamp nel 1913 pone una
ruota di bicicletta su di uno sgabello, non ha certo la
consapevolezza si tratti di un readymade. “L'opera d'arte già
fatta” è un concetto che svilupperà qualche anno più tardi,
intorno alla fine degli anni '60. Quella, dice con aria di assoluta
sufficienza, era semplicemente un occasione per riflettere sul
movimento, non c'era nulla di ciò che la critica più tardi gli
avrebbe attribuito.
Quindi senza accorgersene, il 25enne
Marcel dà vita alla più grande e moderna rivoluzione in campo
artistico: l'opera d'arte non riguardava più un illusione, come da
sempre aveva fatto, ma oggetti comuni, prelevati e decontestualizzati
dalla realtà ed innalzati a ruolo di opere d'arte. Questo il senso
della ruota di bicicletta, o forse della ancor più celebre
fontana (R. Mutt).
Inizialmente
incompreso dai suoi contemporanei, poi punto di riferimento di
artisti, critici d'arte e appassionati. Il suo entourage cresceva, le
sue conoscenze spaziavano dal Vecchio al Nuovo Continente,
assicurandogli sia un legame con la tradizione, sia una spinta
riformatrice segno del tempo che cambia.
Ruota di bicicletta
è solo una scusante di cui mi sono servito come Storico dell'Arte
per introdurre uno spirito bizzarro, uno sperimentatore come lo fu
Leonardo ai suoi tempi, se pur con le dovute differenze.
Riflettendo su di
una sola opera che possa incorporare sia il legame con il vecchio che
quello con il nuovo, che possa cioè conciliare esperienza e
scoperta, penso ovviamente al Grande Vetro.
Un vetro di poco
meno di 3 m per 2, diviso in due sezioni, na superiore una inferiore
che lascia intravedere molto più che una semplice tela figurata.
I suoi lavori
precedenti sono serviti certamente come strumento di comprensione, una sorta di elementi guida che lo hanno accompagnato dal 1915 al 1923. Una gestazione molto lunga che ha visto l'artista meditare a lungo attraverso opere e disegni.
Nella ricerca di una nuova dimensione, i suoi compagni europei optano per una dislocazione spaziale della figura,
riducendola ad un puzzle di immagini sovrapposte e concomitanti. Alcuni altri, quelli d'oltreoceano, rivolgono i propri interessi al mondo astratto, alla purezza del
mezzo, alla liberazione emotiva.
Duchamp invece, riduce le sue figure ad assemblati metallici, lasciandosi da una parte soggiogare
dalle avance dell'astrazione ma interloquendo al contempo con
Cubismo e l' innovazione surreal-DADA.
E' il punto di
vista che cambia.
Perchè illudere lo
spettatore quando questo può realmente interagire con oggetti reali?
Perchè usare una
tela ed aumentare il distacco tra opera e spettatore se è possibile
usare il vetro come materiale d'unione, in cui il fruitore possa
addirittura vedere “oltre” la superficie sentendosi parte
integrante del progetto artistico?
Duchamp si
allontana progressivamente dal retinico rincorrendo una materialità
inattesa, ma spesso evocata a gran voce.
Il punto di
partenza: l'Eros, motore del tutto.
Soggetti
partecipanti: la Vergine
in alto a citare l'Assunzione raffaellesca e i suoi Scapoli o
Celibi sottostanti, in trepida attesa.
Il desiderio, tramutatosi in materia, compie i passaggi necessari per arrivare a
possedere la Sposa/Vergine.
Molto più che una
provocazione, un oltraggio che gli valse sovente l'etichetta di “scandaloso”.
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