mercoledì 26 dicembre 2012

Ragazza Afgana di Steve Mccurry


Sharbat Gula è il nome della "ragazza afgana" nello scatto di Steve Mccurry.

Soggetto, prospettiva, sfondo, colore, tutte le strutture fondamentali della composizione si legano armoniosamente rompendo confini e superficie. Occhi che rapiscono.

Dopo alcuni anni il Mccurry ritrova la stessa ragazza. 

Quella fotografia che li aveva legati per così tanto tempo si ripropone nel 2002 con un risultato molto diverso. 
La speranza di vivere una vita diventa consapevolezza di averla vissuta.



Mi chiedo se in quel secondo scatto sia visibile l'emozione che il fotografo provò nell'aver ritrovato quella giovane donna.
Mi chiedo se la fortuna di cui quello scatto ha goduto nel mondo dell'Arte Occidentale sia la stessa fortuna di cui abbia mai goduto Lei, che ne era l'artefice (almeno in parte).

Uno sguardo duro che non racconta ne speranza ne fortuna.

Osservando quella "ragazza", gli spettatori tendono quasi ad abbassare lo sguardo; forse un segno di rispetto, forse un disagio provocato dal senso di colpa. Il mondo dell'Arte è in debito con Lei......e lo sa.

martedì 25 dicembre 2012

sui colori di Michelangelo Buonarroti



Sostenete senza riserve  
 chiunque affermi 
 che Michelangelo Buonarroti
 è il vero,
 primo,
 Manierista.
                 



martedì 18 dicembre 2012

Newman...Newman.


Newman...Newman.

La ripetizione invita inevitabilmente a riflettere.
Quando si afferma che per comprendere l'arte bisogna esser preparati si dice una banalità che spesso non viene considerata. Senza una giusta riflessione infatti si affronta l'opera con un bagaglio di preconcetti indiscutibilmente forvianti.
Il pregiudizio senza la conoscenza sottintende un'evidente dato di fatto, che si chiama ignoranza.

Questa premessa sottolinea come di fronte a personalità così profonde come è quella di Barnett Newman, si debba cautamente procedere evitando di farsi soggiogare dalle prime impressioni, come fece chi scrive la prima volta che lo avvicinò.

Non comprendevo cosa volesse intendere Newman con questi enormi muri colorati, divisi da fasce alternate in maniera del tutto arbitraria nel mezzo dello spazio pittorico.
Non conoscevo il suo trascorso lavorativo, quello che lo ha visto abbandonato da tutti coloro che egli promosse nel corso della sua attività artistica, sia con saggi sia con mostre dedicate o tramite numerose interviste a tema.
In poche parole ero completamente disorientato dal suo lavoro che per me rimaneva un'incognita priva di senso.

Rappresentava semplicemente la modernità, tiepidamente intesa come la capacità di ridare bidimensionalità alle immagini; la capacità di mostrare il colore come strumento primario della ricerca pittorica; capacità di esplorare lo spazio in maniera più meticolosa e meno caotica di quella promossa dall'Espressionismo Astratto. Tanto bastava per me nel promuovere Newman come ambasciatore del Minimalismo dei successivi anni '60.

Forte di una preparazione figurativa che credevo sufficiente, tutto ciò che distogliesse l'attenzione dalla forma era incapace di suscitare interesse. L'Astrazione era per me quella di Pollock non quella di Newman. I miei limiti erano evidenti.
La figurazione era un porto sicuro al quale attraccare. Avevo certezza di senso, certezza di forma e d' impianto prospettico. Certezza di rimando storico ed un' iconografia rintracciabile. Certezza di scindere tra ciò che sono io e ciò che rappresenta l'opera.
Io sono il fruitore tu sei l'opera. Io ti osservo e tu sei li per lasciarti scrutare.
Quando invece osservi qualcosa di incompreso, di "astratto" appunto, cominci a chiederti di cosa si tratti ed allora finiscono le certezze; la forma scompare, i limiti vengono meno, ti dimentichi dello spazio circostante poiché senti quasi di esserci finito dentro, tuo malgrado senza le giuste coordinate.
Ammiravo chi riusciva a stare di fronte ai suoi dubbi, alle sue infinite interpretazioni senza tuttavia subirne la grandezza.

Credo di aver voluto fuggire l opera di Newman perchè incapace di affrontarla.

Nell'aprile del 1951 la seconda mostra dell'artista 46enne Barnett Newman fu un fiasco completo, ancor peggiore di quanto non fosse stata la sua prima personale svoltasi sempre a NY l'anno precedente.
I suoi compagni astrattisti lo avevano abbandonato accusandolo di averli traditi.
Ed effettivamente se si vede nelle opere che precedono il 1950 quest'accusa appare del tutto giustificata.
Se nelle prime tele infatti lo spazio che circondava le bande verticali era mosso e impreciso, così da accostarsi alle ricerche di Rothko e compagni, dopo gli anni '50 le stesse tele ospitano delle campiture di colore più attente, assolutamente delimitate nei bordi, prive di qual si voglia
"espressione" istintiva.

Quali allora le domande che suscitano i suoi lavori.

1.Perche Newman rompe con il suo recente passato?
Ciò che egli voleva era determinare anzitutto lo spazio della tela poi quello dell'ambiente circostante. Quando sostiamo difronte ad una campitura imprecisa la prima cosa che salta agli occhi è la banda di colore diverso, la quale immediatamente occupa il primo piano, allontanando lo sfondo sul retro della visuale. Allora Newman colora sia spazio che banda con la medesima modalità di stesura. Se guardiamo ora notiamo che spazio e forma (la banda) sono un tutt'uno con la superficie.

2.Perchè la presenza delle bande?
Anzitutto “zip”. E' così che Newman preferisce considerarle poiché uniscono e non dividono. Quelle zip siamo noi. È la nostra presenza verticale che si rifà alla tradizionale visione verticale propria dell'uomo. E siamo ancora noi che in mezzo allo spazio ci troviamo a viverlo non sapendo di esserne ai limiti o al centro, piuttosto spostati di un terzo al suo interno.

3.Ancora, Perchè quelle dimensioni?
Perchè quelle dimensioni rappresentano non solo lo spazio, ma il campo visivo, ed è per questo che i suoi quadri devono essere visti da distanza ravvicinata, per entrarci dentro e farne parte. Gli unici punti di riferimento sono le zip presenti, che poi siamo noi.
Guardare queste grandi opere da una distanza maggiore vorrebbe dire includere tutta l'opera in una sola unità, cosa che è assolutamente il contrario dell'intento di Newman, che intendeva intromettere non lasciar fuori.

Non c'è più profondità ne secondi piani, semanticamente non vi è più passato, non vi e più storia. Vi è al contrario un'unica dimensione di tempo e di spazio che è la superficie e perciò, il solo presente.
Newman tenta di azzerare la tradizione pittorica per ricominciare da capo. Vuole tornare alle origine. Ricomincia da noi, dalle persone, attraverso lo strumento principale che è la visione, e lo fa attraverso una saturazione dei colori rendendoli estremamente manifesti tanto da suscitare in qualche sconsiderato la necessita forse inconscia di violentarla con tagli selvaggi ed irriverenti.

Questa "reazione" la dice lunga sull' incapacità di essere al cospetto di queste opere.  

venerdì 14 dicembre 2012

Uno sguardo al presente per comprendere il futuro: l' arte dimenticata


Dal disagio odierno nei confronti delle periodizzazioni, che lasciano fuori dal cerchio molte espressioni individuali a causa di un anticonformismo, aggiungerei necessario.
Nasce il problema della Storia dell'arte così come la si intendeva. Il testo va ad inscriversi a pieno titolo come ulteriore passo avanti dopo le questioni sollevate da Belting e Danto su “la fine dell'arte”, non come cessazione della produzione artistica bensì come fine di una progressiva narrazione di uno stile determinato e determinante, sintomo di una norma dittatoriale vigente.
La contemporaneità rompe questo filo conduttore come fece l'artista performer Hervè Fischer nel 1979, al Centre Pompidu di Parigi spezzando una corda molto lunga.

I temi affrontati sono quelli che interessano la fine del secolo scorso e l'inizio di quello che stiamo vivendo: pregiudizio, accettazione, globalizzazione, diaspora, eroine e non più eroi.

martedì 11 dicembre 2012

Il solo pensare che i suoi ultimi tocchi non fossero di pennello bensì di polpastrelli intrisi di sapienza e spregiudicatezza mi sconvolge.
Si può credere alla suggestione di un'azione tanto sconsiderata?
Leonardo da Vinci, ambidestro, nelle sue ultime opere ritrova lo "sfumato" passando le mani sopra la tela; tornava sulle zone che intendeva d'ombra rendendole così cupe, meno nette, opache, sino al punto di farle divenire "fumo".

Incredibile pensare a Leonardo negli stessi termini di Tiziano.
Immaginarlo tanto preso dal proprio lavoro da volerlo toccare..............incredibile!


"[...] sono solo dei vecchi mobili pieni di polvere."


La terza camera è un' istallazione presentata da Flavio Favelli nel 2007 al Centro Commerciale di Cinecittadue in Roma.
Intenzionata a comprenderne il senso, la curatrice Simona Brunetti pone le domande che crede più opportune:

Cosa vuole dire Terza Camera?
Perché la scelta di questa esposizione?

Favelli risponde che la Terza Camera è un ambiente della casa di montagna di famiglia. Una stanza che raccoglieva oggetti e mobili, come fosse una soffitta o un ripostiglio, ma che differentemente dai comuni spazi domestici come questi, era aperta agli ospiti e sempre ordinata.
E' un luogo della memoria che suscita nell'artista il ricordo di un ambiente familiare ed evidentemente tanto suggestivo e sinistro da doverlo riprodurre in un opera.

Lei parte dagli oggetti o dai ricordi che questi oggetti le suggeriscono?

Favelli parte sempre dagli oggetti per poi arrivare ai ricordi e mai viceversa.
Il collezionismo di suppellettili e oggetti vari spiega, è una passione ereditata dal nonno.
Pierluigi Sacco, giornalista di “Flash Arte” lo definirebbe “un trovarobe” instancabile.

Come possono questi oggetti così chiaramente tanto personali aprirsi al mondo dell'arte?
Quale il loro significato intrinseco?

In questi ambienti egli è come se rivivesse, stavolta come parte attiva e non subordinata, la sua infanzia infelice, spesso piena di solitudine in ambienti quasi mistici e pieni di oggetti più o meno preziosi.
Riaffiorano alla memoria i suoi “viaggi d'arte”, che assieme alla madre condivideva per evadere dalla quotidianità.
Per Favelli l'arte già da bambino rappresentava uno strumento di libertà emotiva.
Forse è per questo che gli oggetti di ieri divengono le opere d'arte di oggi.
Non solo tenta di esorcizzare i suoi incubi infantili ma come direbbe Freud ne “il gioco del rocchetto”, tenta di riappropriarsi della sua soggettività smarrita.

Proviamo ad aprire una finestra nella pratica psicoanalitica per tentare di comprendere meglio questo mio rimando...
Durante le sue prime esperienze di medico, Freud analizzando il comportamento di un infante all'interno del suo nucleo familiare, rimase colpito da come il bambino non soffrisse affatto l'abbandono della madre ogni qual volta si allontanava da casa.
Dopo averlo seguito per alcuni giorni, Freud notò un comportamento anomalo e ripetitivo nei confronti di un rocchetto, che il bambino lanciava, emettendo un suono di evidente soddisfazione, per poi riprenderlo e ricominciare l'azione del lancio, da capo.

Così facendo, sostiene Freud, il bambino si liberava della frustrazione inconscia dell'abbandono materno, divenendo parte attiva. Era lui che ora abbandonava la madre/rocchetto, non più viceversa il rocchetto/madre che lo abbandonava.
La diagnosi è una tendenza inconscia che definisce una "coazione a ripetere".

Considerando quindi un punto di vista più personale che non prettamente artistico e iconografico, questo aspetto della ripetitività, della "ri- produzione" della memoria, potrebbe rivelare delle dinamiche affettive interessanti nel modus operandi di Flavio Favelli.

Ri-allestendo quelle sale, egli ripropone quegli stessi spazi della memoria affrontandoli a viso aperto, stavolta come adulto.

mercoledì 28 novembre 2012

NUOVI AMICI...The Italian Bookclub


                                il link per accedere direttamente al sito:

                                   http://www.theitalianbookclub.com/


Grand Verre (1915-1923)


Quando Marcel Duchamp nel 1913 pone una ruota di bicicletta su di uno sgabello, non ha certo la consapevolezza si tratti di un readymade. “L'opera d'arte già fatta” è un concetto che svilupperà qualche anno più tardi, intorno alla fine degli anni '60. Quella, dice con aria di assoluta sufficienza, era semplicemente un occasione per riflettere sul movimento, non c'era nulla di ciò che la critica più tardi gli avrebbe attribuito.
Quindi senza accorgersene, il 25enne Marcel dà vita alla più grande e moderna rivoluzione in campo artistico: l'opera d'arte non riguardava più un illusione, come da sempre aveva fatto, ma oggetti comuni, prelevati e decontestualizzati dalla realtà ed innalzati a ruolo di opere d'arte. Questo il senso della ruota di bicicletta, o forse della ancor più celebre fontana (R. Mutt).
Inizialmente incompreso dai suoi contemporanei, poi punto di riferimento di artisti, critici d'arte e appassionati. Il suo entourage cresceva, le sue conoscenze spaziavano dal Vecchio al Nuovo Continente, assicurandogli sia un legame con la tradizione, sia una spinta riformatrice segno del tempo che cambia.
Ruota di bicicletta è solo una scusante di cui mi sono servito come Storico dell'Arte per introdurre uno spirito bizzarro, uno sperimentatore come lo fu Leonardo ai suoi tempi, se pur con le dovute differenze.
Riflettendo su di una sola opera che possa incorporare sia il legame con il vecchio che quello con il nuovo, che possa cioè conciliare esperienza e scoperta, penso ovviamente al Grande Vetro.
Un vetro di poco meno di 3 m per 2, diviso in due sezioni, na superiore una inferiore che lascia intravedere molto più che una semplice tela figurata.
I suoi lavori precedenti sono serviti certamente come strumento di comprensione, una sorta di elementi guida che lo hanno accompagnato dal 1915 al 1923. Una gestazione molto lunga che ha visto l'artista meditare a lungo attraverso opere e disegni. 
Nella ricerca di una nuova dimensione, i suoi compagni europei optano per una dislocazione spaziale della figura, riducendola ad un puzzle di immagini sovrapposte e concomitanti. Alcuni altri, quelli d'oltreoceano, rivolgono i propri interessi al mondo astratto, alla purezza del mezzo, alla liberazione emotiva.
Duchamp invece, riduce le sue figure ad assemblati metallici, lasciandosi da una parte soggiogare dalle avance dell'astrazione ma interloquendo al contempo con Cubismo e l' innovazione surreal-DADA.
E' il punto di vista che cambia.
Perchè illudere lo spettatore quando questo può realmente interagire con oggetti reali?
Perchè usare una tela ed aumentare il distacco tra opera e spettatore se è possibile usare il vetro come materiale d'unione, in cui il fruitore possa addirittura vedere “oltre” la superficie sentendosi parte integrante del progetto artistico?
Duchamp si allontana progressivamente dal retinico rincorrendo una materialità inattesa, ma spesso evocata a gran voce.






Il punto di partenza: l'Eros, motore del tutto.
Soggetti partecipanti: la Vergine in alto a citare l'Assunzione raffaellesca e i suoi Scapoli o Celibi sottostanti, in trepida attesa.

Il desiderio, tramutatosi in materia, compie i passaggi necessari per arrivare a possedere la Sposa/Vergine.
Molto più che una provocazione, un oltraggio che gli valse sovente l'etichetta di “scandaloso”.

martedì 27 novembre 2012

DUCHAMP: LINGUAGGIO DI UNO SPIRITO BIZZARRO


Nel 1949, durante una tavola rotonda nelle quinte dell'Esposizione al San Francisco Museum of Art, Marcel Duchamp risponde alla domanda, "cosa si aspetta da un critico?":
"Non granchè. Qualunque cosa dica il critico l'opera parla per sè"
........
...allora lasciamo che a parlare siano semplicemente loro.
........
da una parte il grande incompiuto, Le Grand Verre;
dall'altra la sua manifestazione più convincente, Etant Donnès.
Domanda & Risposta

martedì 18 settembre 2012

Komar & Melamid: dall'arte "popolare" all'arte "del" Popolo

Dall'arte Pop al Realismo Socialista.
Komar e Melamid sono due artisti moscoviti della generazione '43-'45. Firmano i propri lavori insieme, anche dovessero derivare dalle idee di uno soltanto. Profondamente colpiti dalla società americana che li ospita ormai dalla fine degli anni settanta, ma senza dimenticare il loro recente passato socialista, mostrano il loro più grande contributo all'arte sociale con un lavoro del 1994-97: un sondaggio da loro stessi commissionato, con la partecipazione di 11 paesi tra cui Stati Uniti, Cina, Kenya, Italia, Portogallo, etc etc.

Chiedono quali quadri siano "i più desiderati" ed al contrario "i meno desiderati".
Questa domanda viene rivolta non solo a persone interne all' entourage artistico, ma a miscredenti, a gente comune, di strada e per sino via Web.
In queste due tele un esempio di quale sia stata la risposta degli Stati Uniti.

Fa riflettere il fatto che quasi tutti i paesi, la stragrande maggioranza in realtà, mostrino delle attitudini estetiche precise circa la pittura di Paesaggio come Painting most wanted; dall'altra parte, una rinuncia totale verso le forme geometriche, etichettando angoli retti e forme razionali come Painting last wanted.
Questa è per loro la vera arte del popolo, l'arte democratica per eccellenza, libera dagli impedimenti  istituzionali.

Qui di seguito il link di tutte le 11 pitture dei Paesi coinvolti nel sondaggio:
http://awp.diaart.org/km/painting.html

domenica 19 agosto 2012

Rauschenberg: Come può un "letto" divenire opera d'arte?

Dopo aver letto il post precedente, ci appare chiaro allora quale sia la giustificazione storica dell' opera di Rauschenberg...fare di un'oggetto comune un'opera d'arte, eliminando definitivamente il limite che intercorre tra arte e realtà. Gli intenti della sua generazione erano stati pienamente soddisfatti.
Ma c'è un fatto che più di tutti illumina l'opera di Rauschenberg, ed è il suo "piano pittorico".

Il Modernismo giocava solo con i propri mezzi espressivi quali colori, vernici, supporti, pennelli, salvaguardando ancor più la bidimensionalità come sua caratteristica esclusiva. Questa tendenza ad appiattire la superficie rese noti molti degli artisti che dominarono e dominano tutt' oggi il mercato mondiale: nomi quali Pollok, Rothko, Newman, Noland...in questi artisti infatti, non è possibile distinguere primo piano e sfondo, ed è anche per questo motivo che essi rispondono più di ogni altro artista alla massima aspirazione dell'arte Moderna di cui erano ambasciatori.
Ma qui siamo andati oltre la modernità. Nell'opera di Rauschenberg c'è già qualcosa di contemporaneo.
E' vero che trattando l'opera come un quadro, l'artista statunitense compie di fatto una citazione alla pittura da cavalletto. Ma ci mostra anche come il piano sia cambiato..non vuole essere più visivo e verticale ma operativo e orizzontale. 
Cosa vuole dire questo? Il letto è un oggetto che adoperiamo nel piano trasversale dello spazio reale rispetto alla nostra posizione eretta. Vederlo appeso ad una parete mostra come il piano trasversale del pavimento sia stato riproposto con un angolatura nuova, frontale. Ed è proprio questo il cambiamento reale nel mondo dell' arte contemporanea che scopre Steinberg. Queste opere non vogliono più esclusivamente esser viste, come quadri figurati, ma soprattutto rivissute, in quanto è l'operare dell'artista che si è reso manifesto. 
Un quadro di Rembradt ci suggerisce immediatamente una pittura verticale e classica nel modo di lavorare; con un cavalletto posizionato difronte all'artista, dei pennelli, la tavolozza sempre sporca di colori mischiati, etc etc... 
Condividendo il suo lavoro con chi vi è difronte, Rauscenberg invece rimanda ad un operare orizzontale e non verticale, proprio perché il letto è un oggetto che esiste sul piano orizzontale; è come se desse anche a noi  licenza nel rassettare le lenzuola di quel letto. 
Se il letto fosse stato perfettamente ordinato, il rimando al "fare" non sarebbe stato così immediato, come lo è invece guardando delle coperte arruffate. E se ancora fosse rimasto a terra, non vi sarebbe stata alcuna differenza tra letto/oggetto e letto/opera d'arte.

Ricordate Pollok che dipingeva le sue tele attraversando lo spazio della tela con i piedi. Le opere che vediamo esposte nei musei, sono sempre delle tele poste su parete, ma rimandano ad un lavoro dell'artista che è stato in origine orizzontale.
Per Rauschenberg, riguardo alla modalità di approccio, vale la stessa cosa, solo che in Pollok vedevamo arte Moderna, in Rauschenberg arte contemporanea.

Il letto di Rauschenberg è quindi un opera d'arte, poiché risultato di un percorso artistico che prende in considerazione tradizione, recente passato e presente storico.

venerdì 17 agosto 2012

Vasari, Greenberg, Danto: Prima dopo e durante..la Critica mette ordine



La questione che si pone evidente negli ultimi scritti della critica contemporanea è che il mondo dell'arte attuale, avendo a disposizione tutta una storia passata, possiede anche gli strumenti per mettere ordine li dove è il caos a regnare sovrano.
A cominciare questa opera di definizione fu originariamente Giorgio Vasari. Il suo Vitae (1550-1568), con la quale opera si apre ufficialmente la Storia dell'Arte, propone una narrazione pittorica progressiva sino al massimo grado di rappresentazione possibile. Il filo conduttore era la “mimesis”, l'imitazione del naturale, ed era su questa che si basava  il giudizio di gusto comune. Per Vasari infatti, Michelangelo e Raffaello potevano considerarsi i massimi interpreti delle ambizioni Rinascimentali.

Questo intento al naturalismo si osserva diligentemente fino a che, ed è Greenberg che subentra al Vasari con il saggio Pittura Modernista (1965), Manet e gli Impressionisti non irrompono nella scena artistica prima francese, poi Europea, mettendo in discussione tutta la tradizione artistica precedente. Influenzati anche dalle scoperte circa la fotografia di Deguerre (anni '30 dell' Ottocento), in grado come e più della pittura di mostrare la realtà così com era senza particolari difficoltà tecniche, si determinò un'improvvisa ripensamento nel mondo dell'arte che porto la pittura, e più tardi anche la scultura, ad allontanarsi rapidamente dalla rappresentazione naturalistica, aumentando senza accorgersene il suo raggio d'azione, liberandosi dagli obblighi della “raffigurazione formale forzata”. Il suo ruolo smise di essere quello di mero reportage e cominciò ad esprimersi secondo specifiche altamente personali: si frammentano le forme attraverso la luce, si mettono più in generale in evidenza tutto ciò che sino ad allora veniva tenuto nascosto e considerato come “mancanza” da parte dell'artista; di lì in poi infatti bidimensionalità, colori puri, pennellate esplicite e supporti grezzi divennero cifra stilistica e pratica comune di quel particolare contesto storico che era il XX secolo. L'arte aveva cominciato la sua opera di purificazione che vedeva in Pollok il suo massimo interprete. Per questo motivo, per aver di lì in poi dato inizio a quella nuova consapevolezza che Greenberg ritiene essere caratteristica fondamentale dell'opera moderna, gli Impressionisti vengono etichettati come i veri primi modernisti.

Ma con Arthur Danto si approda ad un grado di consapevolezza ancor più profondo.
Con Dopo la fine dell'arte (1997), egli pone in essere delle questioni primarie su cosa sia l'arte contemporanea oggi, e su come sia possibile distinguere l'arte contemporanea da quella moderna.
Ci è voluto relativamente poco per porre queste domande al centro del dibattito culturale ed artistico. Se si pensa al salto dall'arte rinascimentale del '400 fino agli impressionisti di metà '800, 
30 anni sono relativamente pochi per voltare pagina, ma sono anche sintomo della velocità con la quale la modernità avanza.
E' plausibile che Arthur Danto possa realmente considerarsi un nuovo punto d'inizio per la Storia dell'Arte futura.
Quando egli afferma "l'Arte è finita" non intende assolutamente dichiarare che la produzione artistica cessa improvvisamente di esistere. Sostiene al contrario che quella che avremo difronte da oggi in poi sarà un' arte talmente diversa da quella passata, che non potrà più essere sottoposta agli stessi interrogativi di prima.
Ciò che Danto ritiene sia finito è un filo conduttore, il progressivo sviluppo di una narrazione che ha visto l'arte porsi come diaframma ottico tra la realtà e la rappresentazione.
Tutta la storia dell'arte ha avuto a che fare con l'illusione come dice Steinberg, (Altri Criteri, 1972), ma da un certo momento in poi questa scissione tra arte e realtà è sembrata essere meno evidente.

I primi accenni del cambiamento vengono dai ready-made del 1913 di Duchamp, che innalzavano al ruolo di arte degli oggetti comuni, e spesso utili, contravvenendo al pensiero pionieristico di Kant, secondo cui l'arte è bellezza e la bellezza non ha nulla a che vedere con l'utilità, con alcuno  scopo, se non quello di essere bella di per sé. (Critica del Giudizio)
Ma è con i Brillo box del '64 di Warhol che arte e realtà si fondono, sino a non riuscire a determinarne le differenze necessarie.
Quale è la differenza tra i brillo box esposti in un museo e quelli esposti lungo le corsie di un supermercato?....





martedì 3 luglio 2012

in accordo con il principio di piacere


Non mi sono mai cimentato nel tradurre in parole un'immagine fotografica, tuttavia ho trovato delle similitudini comportamentali ed emotive interessanti in queste poche foto.
É possibile siano solo immagini, ma non è il loro artefice che le rende stimolo critico, il loro contenuto piuttosto.
E' chiaro l'atteggiamento corporale che si riscontra in tutte le immagini: un corpo chiuso, raggomitolato su se stesso, introflesso ed involuto.
Il fascino emozionale che riflette lo stato di chiusura è una curiosità trascendentale, un' incognita permanente.
Ma ciò che mi chiedo di fronte ad esse è: “sia rappresentata paura, solitudine, sonno, sempre si ricerca lo stadio primordiale, la fase fetale”..sono forse le sopravvivenze dell'inconscio che generano quel risultato.
Questo è in accordo con un testo molto famoso dal quale ho preso spunto per queste riflessioni; riflessioni che mi hanno portato a mettere insieme queste fotografie ed incatenarle ad un denominator comune.
Il testo è "al di là del principio del piacere" di Freud.
Durante le sue considerazioni, che per la prima volta volgevano alla metafisica aporistica piuttosto che ai risultati clinici dei suoi pazienti, egli espone un dogma secondo cui il piacere si esprime attraverso una tendenza a ripristinare uno stato anteriore di quiete, secondo il principio di conservazione della sostanza vivente.
Ogni volta si affrontino degli stati emozionali del genere paura o solitudine, la risposta immediata rivolge sempre il corpo verso se stesso. Tutti quanti abbiamo provato quella sensazione ed ogni volta ci si è sempre ritrovati coscientemente o no nella medesima posizione.
Lo stesso nel sonno, lo stadio di rilassamento totale, l'unico veramente capace di dimenticare le pressioni esterne. Non sempre ma spesso, le gambe si richiamano e le braccia si tengono strette proteggendo se stesse dallo spazio circostante.
Ma la fase fetale non è proprio lo stadio per antonomasia dove l'individuo è coccolato e protetto dal corpo materno, nutrito e avvolto all'interno della sacca amniotica?


Allora ciò che mi ha coinvolto è la necessità inconscia a ripristinare, nelle situazioni di pericolo e forte stress, ed ugualmente all'opposto, di rilassamento completo, uno stato di quiete riscontrabile solo in quella fase primordiale dello sviluppo biologico.
Come le pressioni più forti generino le risposte più elementari.
Come il massimo grado di coinvolgimento emotivo porti all'annullamento dello stesso. 












martedì 19 giugno 2012

la rivincita del Titano

Atlante Moderno è il nome dell'opera.
Busto di gesso e colla su una tela 180x80.
Colori ad olio Rosso e Nero.
La voglia e la consapevolezza di essere una persona nuova. "Vorrei avere di fronte una figura che susciti in me forza ed energia". Il mito ha sempre visto la figura dell'Atlante sottomessa al volere del Dio superiore; afflitto dalla condanna perpetua, tendere il capo a terra spinto dal peso dell'umanità che porta sulle spalle.
Oggi il Globo si apre e mostra ciò di cui si compone, di ambiente e di vita, di terra e di aria.
I tagli che penetrano nella tela mostrano l'ambiente circostante che fuoriesce dalla volta celeste ormai schiusa.
Dal mito alla vita vera, fiero e possente, mostra il suo viso vigoroso e rinato, chiude gli occhi sereno e cosciente, apre i palmi della mano e mostra le dita pronte a sorreggere il tutto. Le ferite del passato, la sporcizia degli sbagli, il ricordo dei compromessi, la voglia di vincere sul mondo che lo circonda. I muscoli sono pieni e definiti non ancora tesi dallo sforzo che si compierà tra poco.
Il corpo è fatto di materia, della stessa di cui si compone il mondo che sopra di lui si manifesta. Rosso il colore delle passioni e delle ferite. Nero il colore della terra e del tormento. Grigio il prodotto di passione e tormento, lerciume di esperienza vissuta. Mentre tutti gridano aiuto, stanco di piangere lacrime, diviene eroe di se stesso.

sabato 2 giugno 2012

Yves Klein: visibilità dell'esperienza al femminile


E' a partire dalla “scelta” artistica di Duchamp che l'atto diviene più importante del prodotto.
La capacità di giudicare un oggetto e riqualificarlo muta in senso gestuale e capacità d'azione

.
Klein irrompe sulla scena artistica europea degli anni '60 del Novecento con i suoi pannelli viventi, mostrando non solo l'atto, ma la realtà sociale, l'impronta del suo compiersi che asciugando diviene esperienza.

Anthropomètrie sono sagome campite di carne
carne color BlueKlein
Sagome di donne, tracciabilità della loro consistenza oltremare

martedì 29 maggio 2012

Silvio Berlusconi è "il sogno degli italiani"


Non è realtà, non è satira, non è uno scherzo....è un'opera d'arte!
Ititolata "il sogno degli italiani"
Sotto la scia creativa di Maurizio Cattelan, oltre il "Pop" e di sapore mockumentariano, quest'opera realizzata da una coppia di artisti (e coppia di fatto), Antonio Garullo & Mario Ottocento, si trova a Palazzo Ferrajoli, a due passi dal sogno del protagonista, Palazzo Chigi.
E' un Berlusconi di silicone, entro una teca trasparente a fondo rosso porpora, con ancora indosso gli abiti del potere, il viso sorridente e i pantaloni slacciati.
"Abbiamo pensato Berlusconi, il suo corpo, l'idea stessa che noi tutti spettatori ci siamo fatti in questi anni del leader italiano, chiuso in una teca riservata nella tradizione cristiana alla conservazione dei corpi dei santi, ma anche da una prospettiva laica alla conservazione dei corpi dei potenti e degli eroi (dalla mummia di Mazzini a quelle di Mao e Lenin) per sottolineare il culto della personalità di cui egli è stato e forse sarà oggetto negli anni a venire. E allo stesso modo porre un diaframma tra la realtà contingente e il giudizio storico. Se gli italiani sono in ultima analisi "Un popolo di santi, di poeti, di navigatori.." allora l'arcitaliano Silvio ne costituisce degno simulacro"..
Cattivo gusto o reale espressione del popolo, certo oggetto che farà discutere, come nella migliore tradizione dell'arte impegnata.
Chissà se solo così, in maniera evidentemente eclatante, l'arte possa tornare ad assumere la funzione sociale che le spetta.





Cosa ci facciamo di fronte ad un'opera d'arte?...esperienza estetica


Cosa ci facciamo di fronte ad un'opera d'arte?

Vi è mai capitato di trovarvi a tu per tu con un quadro, una statua, un'opera teatrale, e di domandarvi segretamente, lontano da orecchie indiscrete, ma cosa dovrei vedere? Cosa mi trattiene qui? Cosa sto facendo?

Certo non sono le uniche domande che è possibile porsi di fronte ad una creazione. Vi sarebbero domande del tipo, cosa significa(?), oppure quale valore ha(?), se possa o no esser definibile opera d'arte(?), ma non è a queste ora a cui vogliamo dare risposta.

Non tutti siamo in grado di rimanere rapiti difronte ad un'opera d'arte come fece Pigmalione con la sua Galatea ma, nella nostra ingenua incapacità, possiamo porci certamente delle domande, alle quali dare risposta significherebbe comprendere almeno il senso del gesto. Quale gesto? Quello di osservare.

I motivi per cui si rimane a contemplare un oggetto, prestare ascolto ad un suono, soffrire per le sorti di un attore, sono gli effetti incontrollati di una percezione innata, alla quale troppo spesso nessuno chiede più spiegazioni.
Curiosità, bellezza, gusto, lavoro, moda, per qualsiasi motivo sostiamo difronte ad un'opera, certamente stiamo mediando tra informazione derivata e sensazione percepita.

Ci sono diversi modi di star davanti ad un'opera d'arte.
E questi modi, queste categorie di comportamento, presuppongono un'azione circolare e perpetua: poniamo attenzione al dato osservato, configuriamo la mente assemblando e organizzando le informazione che essa ci rimanda, ritorniamo con la mente all'oggetto e ne traiamo dei giudizi significanti.
Quindi il movimento va dalla mente all'oggetto, dall'oggetto alla mente, nuovamente dalla mente all'oggetto.

Senza rendercene conto però, nel solo sostare e osservare l'opera, stiamo inconsapevolmente "godendo" di una fruizione estetica. 
L'estetica sta nella lettura di un testo prima ancora di rendersi conto si tratti di un romanzo; sta nell'ascoltare un suono senza capire si tratti esattamente di un'opera lirica.
Si, perché la prassi estetica fugge qualsiasi comprensione del dato osservato; una volta arrivati ad un qual si voglia tipo di comprensione subentra un'altra sfera comportamentale che abita nella pratica del “significato”.

L'Estetica contemporanea basa i suoi fondamenti sulla dialettica tra “scienza dello spirito”, perciò ricondurre il tutto ad una questione spirituale, e “scienza metodologica” secondo la quale è nella logica che abita il giudizio della verità.

Ma l'estetica è di fatto una branca della filosofia, quindi è facilmente intuibile quanto l'astrazione sia parte integrante del suo sviluppo accademico.

I filosofi, gli storici e critici d'arte che si avvalgono della pratica sensitiva dell'estetica certo hanno ben chiaro quale sia il fine di tale strumento...arrivare alla vera essenza dell'opera. Non al fine, non al significato, non alla forma ne al contenuto, ma all'origine della sua creazione.

Essi si trovano a studiare l'oggetto ritrovando la sua genesi. La domanda che essi si pongono è piuttosto il perché un tale oggetto sia stato generato; Quali idee hanno motivato l'artista a soddisfare la sua sete di condivisione. L'essenza, è il suo cruccio, il suo essere non il suo apparire.
Non è ugualmente la filosofia che pretende di arrivare alla comprensione universale del tutto, alla sua più intima verità?

“Erlebnis” direbbe Hegel

E chi ci aiuterà a camminare in questo virtuale mondo dell'astratto che si chiama verità?
Tra la percezione estetica ed il significato intrinseco si pone l'Immagine, che concretizza l'idea del genio (artista) e la rende manifesta nella sua rappresentazione.
Si badi che in questa rappresentazione egli, l'artista, mostra non solo un immagine nel presente, ma riconduce lo spettatore alla prova che in essa vi abiti contemporaneamente sia la memoria del proprio operato (e dell'intera storia dell'arte), sia lo stimolo che permetterà a lui e ad altri di operare per mezzo di essa ulteriori sviluppi.
Riconoscere in un opera tradizione del passato e attesa del futuro vorrebbe dire contribuire a trasformare l'oggetto in uno strumento comunicativo.
Ricondurre quindi l'opera al ruolo che gli compete: funzione sociale

sabato 26 maggio 2012

Paul Cézanne: 20 milioni di dollari per un acquerello



Christie's New York, Rockefeller Plaza 1' Maggio 2012, nella vendita Impressionist and Modern Art Evening. Si partiva da una stima di 11 milioni di dollari e dopo pochi minuti il battitore dichiara la vendita a 17 milioni+ i 2 milioni e 122 mila di commissione richiesti. Il lotto è un acquerello di Cèzanne, studio preparatorio per il celeberrimo "giocatori di carte" del 1893-96. 

Gli schizzi d'artista continuano ad essere considerati fonte pregiatissima del pensiero artistico


mercoledì 23 maggio 2012

Leonardo e Cézanne: le "centine" della pittura

Come è possibile sostenere che la pittura di Leonardo da Vinci e quella di Paul Cézanne si assomiglino così tanto. Se non oltrepassassimo la superficie del visibile, il risultato pittorico certo non potrebbe sostenere una tale speculazione comparativa.
Ma se fermandoci un istante sostando più a lungo di fronte ad alcuni esempi della loro vasta produzione, potremmo svelare un tesoro nascosto entro un mare di sabbia.
Ho scelto due capolavori assoluti del panorama produttivo di entrambi; uno più noto ai molti, l'altro essendo un disegno, meno noto, ma che da sempre ormai gode di ampia visibilità.
Si tratta di "Mont St. Victoire" di Cézanne e del disegno a penna ed inchiostro di Leonardo, "Paesaggio della Valle dell'Arno".
Sono entrambi paesaggi. Entrambi si danno ad una visione d'insieme. Entrambi mostrano un taglio centrale della visione, il primo che inizia dalla periferia e arriva sin sopra la cima del monte, l'altro che inizia dal centro della valle e si espande a raggio fin ai bordi.
E allora?..Non sono certo io a sostenere l'esistenza di una formidabile complementarietà del loro fare pittura, ma Paul Valéry, scrittore e poeta della generazione simbolista francese.
Appena Valéry accenna al termine "architettura d'immagine", chi ha già affrontato nel dettaglio gli sviluppi artistici dei due maestri, capisce dove egli tenti di arrivare.
Indelebile entro la coscienza culturale di ognuno di noi, permane la magia del pensiero Leonardesco. La sua infinità curiosità ed attitudine ai misteri del mondo, lo hanno reso Genio incontrastato. Il suo strumento di conoscenza era il disegno. Attraverso il disegno Leonardo studiava, rifletteva, scopriva, indagava la natura e l'uomo.
Ogni animale, ogni figura umana, ogni stecco o albero al quale egli abbia rivolto lo sguardo, ricorda per se la dedica di un disegno anatomico.
Ciò che ricercava era la struttura delle cose, la struttura del cosmo.
Solo attraverso una visione critica costante egli riuscì ad identificare l' "Aria", l'atmosfera.
Nel disegno, ogni dettaglio si compone di un segno: il vento, le correnti del fiume, il movimento degli alberi, la polvere rocciosa, ogni elemento impercettibile è reso manifesto per sostenere il senso del tutto.
Il "tutto" è un corpo composto, non è astrazione, ma materia formata di tanti "ogni".
Ma per sostenere il tutto secondo Leonardo era indispensabile guardare al suo interno e svelarne le componenti più nascoste.

Per Cézanne, Mont St Victoire è la stessa cosa.
E' il risultato ultimo delle sue ricerche più intime intravedendo nel paesaggio una struttura fondamentale che egli sintetizza in colpi ben assestati di pennello.
L'Impressionismo aveva fatto terra bruciata nei confronti del disegno preparatorio; lo strumento di riflessione e di analisi era ormai il solo colore. E allora Cézanne, in accordo con la poetica del proprio tempo, usa il colore per riscoprire le componenti fondamentali della sua pittura.

Allora, le architetture d'immagine sono quei tratti ampi e coincisi del pennello di Cézanne, allo stesso modo come i segni della penna di Leonardo sono le impalcature dell'immagine prodotta.

















Piet Mondrian: La prima Hollywood



Questa tela di Mondrian si intitola " Broadway Boogie-woogie"....in effetti al suo interno vi sono tante fonti colorate che danno insieme una tonalità festiva, giocosa e divertita.  Sono gli stessi colori delle stelle filanti che si usavano alle feste di qualche tempo fa.  Il nome Broadway poi rimanda immediatamente alla grande avenue di New York, agli innumerevoli spettacoli, la musica Blues, il luogo in cui i sogni diventavano realtà...era la Hollywood di allora.

Ora salite su di un elicottero!  E' roba da ricchi è vero, ma l'immaginazione non ha ceti sociali ne divisioni di classe. Guardate ora in basso...vedete quante luci, le macchine che vanno e vengono, il chiasso dei claxon dei taxi, i fischi dei clienti impazienti di trovarne uno libero, i soffitti dei grattaceli che segnano questa avenue o quella street! Questa tela è Broadway vista dall'alto.

giovedì 17 maggio 2012

Rothko...Impressionismo Astratto



Sembrerà un azzardo parlare di una pittura come quella di Rothko in questi termini, ma personalmente trovo sia la strada maestra per comprendere fino in fondo non solo il suo lavoro, ma come nella storia dell'arte si arrivi a questo risultato.
Cosa c'è di così importante in pochi colori messi uno accanto all'altro, senza precisione alcuna, senza proporzioni matematiche, stesi così come fossero mani passate male su di una parete sporca.

Ricordate quando alla fine del '800, l'Impressionismo si era convinto che il colore fosse tanto potente come poteva esserlo una figura perfettamente finita? Quando al di sotto dei colori non vi era più alcun disegno, e quando nessun progetto sottostante era più presente a fungere da guida? Il puro liberarsi del pennello che costruiva le forme attraverso il colore e null'altro fu la grande rivoluzione del movimento impressionista francese e dei suoi interpreti più alti. Estremamente ponderata era la messa a punto degli accostamenti attraverso la complementarità dei colori, che messi uno accanto all'altro si esaltavano reciprocamente.
Portando alle estreme conseguenze la pittura impressionista, Monet negli ultimi suoi lavori delle Ninfee, prefigura ciò che sarebbe accaduto molti anni più avanti.

Il traguardo tanto ansimato da Monet era la trasparenza. Costantemente attratto dallo spettacolo della natura del suo stagno di Giverny, egli mosse il colore accostandolo alla trasparenza dell'acqua e di tutto ciò che in essa vi era...la quiescenza dei riflessi era la bellezza più profonda del ciclo delle Ninfee. 
Monet fu completamente assorbito dalla vastità emotiva che suggerivano quelle infinite campiture di colore.
La sua maturazione risiedeva proprio in quella inconsistenza materiale dell'oggetto.

Provate ora ad eliminare qualsiasi figurazione che intravedete all'interno del pannello delle Ninfee, e stendete il colore più largo che potete; sintetizzate i colori maggiormente presenti e donate loro la calma e la tranquillità di un oasi serena e avvolgente.

Lo Spazio con Rothko diviene tangibile.
Se al posto dei lenti movimenti dell'acqua ci si fermasse a contemplare il silenzio di uno spazio rassicurante come quello che risiede nelle opere di Rothko, saremmo in grado di percepirne il valore più sincero.

45 cm è la distanza perfetta per osservare l'oggettivazione dello spazio circostante di Rothko, ed esserne realmente coinvolti.

martedì 15 maggio 2012

..i 12 capolavori più pagati di sempre




1. Jackson Pollok- 150,6 milioni di dollari


2-Willem de Kooning-147,9 milioni di dollari

3- Klimt- 144,2 milioni di dollari

4-Van Gogh- 138,4 milioni di dollari

5-Renoir-131 milioni di dollari

6-Edvard Munch- 120 milioni di dollari

7-Picasso-119,4 milioni di dollari

8-Picasso- 106 milioni di dollari

9- Van Gogh-102,9 milioni di dollari

10- Picasso- 101,9  milioni di dollari

11- Van Gogh- 101,2 milioni di dollari

12- Warhol- 100 milioni di dollari


....e Bacon?


    La serata del 9 maggio segna per Sotheby's il miglior prezzo di battuta mai realizzato per un singolo pannello di Bacon.
Stima del lotto era di 30-40 milioni di dollari; prezzo di vendita 44.882.500 $, compreso le commissioni aggiuntive.
Non raggiunge il record dei 150 milioni di Pollok, sempre presso la stessa Casa d'Aste nel novembre del 2006, ma firma un risultato importante nel totale degli incassi finali che hanno raggiunto i 266,6 milioni di dollari.

Christie's ancora seconda in termini di record rispetto alla Sotheby's

L’asta numero 2557 di Christie’s ha inaugurato nel modo migliore la settimana del contemporaneo di New York, totalizzando 388.5 milioni di dollari, ben oltre la stima massima pre-asta di 351.9. Il tutto con tassi di vendita eccezionali: 95% in lotti e 99% in valore. Il leggendario Fire-Color Painting FC 1 di Yves Kline, realizzato dall’artista nel 1963, solo poche settimane prima di morire, è stato battuto nella evening sale di ieri (8 maggio) alla cifra record per l’artista di 36.5 milioni di dollari. Ma il vero blockbuster della serata è stato Mark Rothko il cui dipinto Orange, Red, Yellow del 1961, inizialmente stimato tra i 35 e i 45 milioni di dollari, è stato aggiudicato per oltre 86.8 milioni stabilendo il nuovo record del mondo per un’opera d’arte contemporanea.Il capolavoro di Mark Rothko, il più importante mai apparso sul mercato da White Center (Yellow, Pink and Lavander on Rose) - che proveniva dalla collezione di David Rockfeller ed è stato venduto nel 2007 per 72.8 milioni di dollari -, era entrato a far parte della collezione del filantropo americano David Pincus nel 1967. Con le sue forme rosse, gialle e arancioni che paiono fluttuare sullo sfondo rosso tenue, Orange, Red, Yellow incarna a pieno lo stile dell’artista. Chiunque abbia visitato Philadelphia ha certamente riconosciuto questo dipinto che per molti anni è stato esposto alPhiladelphia Museum of Art, vicino a Onement V di Barnett Newman e al Number 28 di Jackson Pollock, entrambi parte della collezione Pincus e top lot della evening sale diChristie’s, dove sono stati venduti stabilendo nuovi record per entrambi gli artisti:Number 28 di Pollock è stato battuto per 23 milioni di dollari, mentre Onement V di Newman è stato aggiudicato per circa 22.5 milioni.Oltre a questi, il primo appuntamento con l’Arte Contemporanea e del Dopoguerra in programma nella Grande Mela è stato caratterizzato da altri due record d’artista stabiliti da Gerhard Richter e Alexander Calder: supera i 20 milioni Richter con Abstracktes Bild (798-3) venduto alla cifra record di 21.8 milioni, mentre Calder, con Lily of Force, ha totalizzato circa 18.6 milioni di dollari. Dei 59 lotti offerti, solo 3 sono rimasti invenduti: il n. 43, un olio su tela di Brice Marden intitolato Attendant 5 e stimato tra i 7 e i 10 milioni; Museum Security (Broadway Meltdown) di Jean-Michel Basquiat (lotto n. 46) in vendita con una stima tra i 9 e i 12 milioni e When They Were Gone di Joan Mitchell(lotto n. 51) in catalogo con una stima tra i 2 e i 3 milioni di dollari.

Adesso il testimone passa a Sotheby’s che stasera alle 19 presenterà ai bidder in sala un catalogo di 59 lotti guidato da tre top lot d’eccezione: Sleeping Girl di Roy Lichtenstein del 1964 - esposta in pubblico solo una volta ben 23 anni fa e oggi in catalogo con una stima di 30-40 milioni di dollari; Double Elvis [Ferus Type] di Andy Wharol (1963) stimato tra i 30 e i 40 milioni di dollari e proveniente, secondo le indiscrezioni rilasciate da Josh Baer, dalla collezione di Shaindy Fenton, gallerista texana scomparsa nel 1994; e Figure Writing Reflected in Mirror di Francis Baconuna delle opere più importanti dell’artista mai arrivate sul mercato, rimasta nella stessa collezione dal 1977 e oggi stimata tra i 30 e i 40 milioni. La casa d’aste prevede, per l’evening sale di oggi, un risultato (buyer premium escluso) 
tra i 221.6 e i 315.4 milioni di dollari.


Autore: Nicola Maggi


(link: http://www.teknemedia.net/magazine_detail.html?mId=9419)

giovedì 10 maggio 2012

Lucio Fontana: Non solo una questione di "tagli"

"La realtà ha una dimensione cosmica"
Se l'Energia esiste allora deve potersi misurare.
E se esiste si muove nello spazio circostante. Ma la bidimensionalità ormai non ha nulla a che vedere con l'energia fluttuante. Essa pretende la terza dimensione.
Sono queste le considerazioni che Fontana compie quando parla di Spazialismo.
Ed è per questo motivo che il suo lavoro comincia con neon sospesi nel buio...energia pura che fluttua nello spazio cosmico.

Di lì ai "buchi" sulla tela, sino ai definitivi "tagli" il passo sarà breve. La negazione della doppia dimensione è ormai cosa fatta.
L'Interazione con il supporto mobile genera nuovi pensieri nella mente di Fontana che intravede la possibilità di aggiornare il suo lavoro. Non si tratta più solamente di energia fluttuante, ma del suo manifestarsi nell'incontro con la materia. L'energia che infligge il colpo fatale, e la materia che la subisce ponendo il massimo della resistenza che possiede. Anche il sesso genera pensieri simili.

lunedì 7 maggio 2012

Fontana finalmente a New York


Alla Gagosian Gallery di New York, dal 3 maggio al 30 giugno si terrà la mostra “Ambienti Spaziali” dedicata ai lavori di Lucio Fontana. Organizzata con la Fondazione Lucio Fontana di Milano, l’esposizione, curata da Germano Celant con la collaborazione di Valentina Castellani propone un centinaio di opere in arrivo da collezioni pubbliche e private – tra cui alcune raramente esposte al pubblico – nonché la riproduzione fedele di sei opere del ciclo “Ambienti Spaziali”, realizzati nel 1968 per “Documenta 4″: un complesso labirinto di luminosità abbagliante in cui lo spettatore perde il senso dell’orientamento e del tempo.
La retrospettiva intende sottolineare come la fascinazione per gli avanzamenti della scienza e della tecnologia durante il ventesimo secolo abbia portato Fontana ad avvicinarsi all’arte come indagine di mezzi e metodi. Come scultore, ha sperimentato la pietra, i metalli, la ceramica il neon; come pittore ha tentato di trascendere i confini del piano bidimensionale.
In una serie di manifesti, a partire dal Manifesto blanco del 1946, Fontana aveva annunciato l’arte “spazialista”, con l’obiettivo di coinvolgere la tecnologia per raggiungere l’espressione della quarta dimensione in un radicale nuovo linguaggio estetico che fondesse le categorie di architettura, scultura, e pittura.

Oggi ci resta un rammarico, il non poter sapere come Fontana, scomparso nel 1968 a 69 anni, avrebbe potuto interagire con le nuove tecnologie, come, gli strumenti impensabili al suo tempo, avrebbero influenzato la sua opera. Lo avremmo forse ritrovato come video-artista?

Addestrato alle tecniche classiche della scultura, Fontana fu inizialmente conosciuto per le opere prodotte durante il Ventennio, arte costretta nei limiti dell’ideologia, ma che già conteneva un linguaggio razionalista astratto in linea con quegli audaci esperimenti delle architettoniche razionaliste di Edoardo Persico e Giuseppe Terragni.
Al suo ritorno a Milano dall’Argentina nel 1947, Fontana trovò però il suo studio completamente distrutto dai bombardamenti alleati. Quel momento diventa uno spartiacque, a causa di questa brusca tabula rasa, si considererà della generazione di artisti del dopoguerra e la storia della sua carriera diventa, effettivamente, la storia dei suoi ultimi venti anni. Ispirato, ma al tempo stesso superando, il linguaggio del Futurismo, elimina i supporti tradizionali della pittura e della scultura.
Con l’atto di tagliare una tela dipinta con un solo colore, Fontana oltrepassa lo spazio di definizione e la tecnica convenzionale. Un atto che impugna l’intera storia della pittura occidentale da cavalletto portandolo alla conclusione che la pittura non è più l’illusione contenuta nelle dimensioni di una tela, ma, piuttosto, un concetto dinamico che si forma dalla fusione di colore, spazio architettonico, gesto e luce.
Così nasce il concetto di spazialismo e da questo momento, Fontana intitolerà le sue opere Concetti spaziali. Concetti, appunto, perché i suoi assalti sulla tela non erano solo fisici, erano modi per portare lo sguardo dello spettatore al di là della pittura, in quella dimensione del possibile che chiamò “spazio libero”.

autore: redazione "daringtodo.com"