Cosa ci facciamo di fronte ad un'opera
d'arte?
Vi è mai capitato di trovarvi a tu per
tu con un quadro, una statua, un'opera teatrale, e di domandarvi
segretamente, lontano da orecchie indiscrete, ma cosa dovrei vedere?
Cosa mi trattiene qui? Cosa sto facendo?
Certo non sono le uniche domande che è
possibile porsi di fronte ad una creazione. Vi sarebbero domande del
tipo, cosa significa(?), oppure quale valore ha(?), se possa o no
esser definibile opera d'arte(?), ma non è a queste ora a cui
vogliamo dare risposta.
Non tutti siamo in grado di rimanere
rapiti difronte ad un'opera d'arte come fece Pigmalione con la sua
Galatea ma, nella nostra ingenua incapacità, possiamo porci
certamente delle domande, alle quali dare risposta significherebbe
comprendere almeno il senso del gesto. Quale gesto? Quello di
osservare.
I motivi per cui si rimane a
contemplare un oggetto, prestare ascolto ad un suono, soffrire per le
sorti di un attore, sono gli effetti incontrollati di una percezione
innata, alla quale troppo spesso nessuno chiede più spiegazioni.
Curiosità, bellezza, gusto, lavoro,
moda, per qualsiasi motivo sostiamo difronte ad un'opera, certamente
stiamo mediando tra informazione derivata e sensazione percepita.
Ci sono diversi modi di star davanti ad
un'opera d'arte.
E questi modi, queste categorie di
comportamento, presuppongono un'azione circolare e perpetua: poniamo
attenzione al dato osservato, configuriamo la mente assemblando e
organizzando le informazione che essa ci rimanda, ritorniamo con la
mente all'oggetto e ne traiamo dei giudizi significanti.
Quindi il movimento va dalla mente
all'oggetto, dall'oggetto alla mente, nuovamente dalla mente
all'oggetto.
Senza rendercene conto però, nel solo
sostare e osservare l'opera, stiamo inconsapevolmente "godendo" di una
fruizione estetica.
L'estetica sta nella lettura di un
testo prima ancora di rendersi conto si tratti di un romanzo; sta
nell'ascoltare un suono senza capire si tratti esattamente di un'opera lirica.
Si, perché la prassi estetica fugge
qualsiasi comprensione del dato osservato; una volta arrivati ad un
qual si voglia tipo di comprensione subentra un'altra sfera
comportamentale che abita nella pratica del “significato”.
L'Estetica contemporanea basa i suoi
fondamenti sulla dialettica tra “scienza dello spirito”, perciò
ricondurre il tutto ad una questione spirituale, e “scienza
metodologica” secondo la quale è nella logica che abita il
giudizio della verità.
Ma l'estetica è di fatto una branca
della filosofia, quindi è facilmente intuibile quanto l'astrazione
sia parte integrante del suo sviluppo accademico.
I filosofi, gli storici e critici
d'arte che si avvalgono della pratica sensitiva dell'estetica certo
hanno ben chiaro quale sia il fine di tale strumento...arrivare alla
vera essenza dell'opera. Non al fine, non al significato, non alla
forma ne al contenuto, ma all'origine della sua creazione.
Essi si trovano a studiare l'oggetto
ritrovando la sua genesi. La domanda che essi si pongono è piuttosto
il perché un tale oggetto sia stato generato; Quali idee hanno
motivato l'artista a soddisfare la sua sete di condivisione.
L'essenza, è il suo cruccio, il suo essere non il suo apparire.
Non è ugualmente la filosofia che
pretende di arrivare alla comprensione universale del tutto, alla sua
più intima verità?
“Erlebnis” direbbe Hegel
E chi ci aiuterà a camminare in questo
virtuale mondo dell'astratto che si chiama verità?
Tra la percezione estetica ed il
significato intrinseco si pone l'Immagine, che concretizza l'idea del
genio (artista) e la rende manifesta nella sua rappresentazione.
Si badi che in questa rappresentazione
egli, l'artista, mostra non solo un immagine nel presente, ma
riconduce lo spettatore alla prova che in essa vi abiti
contemporaneamente sia la memoria del proprio operato (e dell'intera
storia dell'arte), sia lo stimolo che permetterà a lui e ad altri di
operare per mezzo di essa ulteriori sviluppi.
Riconoscere in un opera tradizione del
passato e attesa del futuro vorrebbe dire contribuire a trasformare
l'oggetto in uno strumento comunicativo.
Ricondurre quindi l'opera al ruolo che
gli compete: funzione sociale
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