Alla Gagosian Gallery di
New York, dal 3 maggio al 30 giugno si terrà la mostra “Ambienti
Spaziali”
dedicata ai lavori di Lucio
Fontana.
Organizzata con la Fondazione
Lucio Fontana di
Milano, l’esposizione, curata da Germano
Celant con
la collaborazione di Valentina
Castellani propone
un centinaio di opere in arrivo da collezioni pubbliche e private –
tra cui alcune raramente esposte al pubblico – nonché la
riproduzione fedele di sei opere del ciclo “Ambienti
Spaziali”,
realizzati nel 1968 per “Documenta 4″: un complesso labirinto di
luminosità abbagliante in cui lo spettatore perde il senso
dell’orientamento e del tempo.
La retrospettiva intende
sottolineare come la fascinazione per gli avanzamenti della scienza e
della tecnologia durante il ventesimo secolo abbia portato Fontana ad
avvicinarsi all’arte come indagine di mezzi e metodi. Come
scultore, ha sperimentato la pietra, i metalli, la ceramica il neon;
come pittore ha tentato di trascendere i confini del piano
bidimensionale.
In
una serie di manifesti, a partire dal
Manifesto
blanco del
1946, Fontana aveva annunciato l’arte “spazialista”, con
l’obiettivo di coinvolgere la tecnologia per raggiungere
l’espressione della quarta dimensione in un radicale nuovo
linguaggio estetico che fondesse le categorie di architettura,
scultura, e pittura.
Oggi
ci resta un rammarico, il non poter sapere come Fontana, scomparso
nel 1968 a 69 anni, avrebbe potuto interagire con le nuove
tecnologie, come, gli strumenti impensabili al suo tempo, avrebbero
influenzato la sua opera. Lo avremmo forse ritrovato come
video-artista?
Addestrato
alle tecniche classiche della scultura, Fontana fu inizialmente
conosciuto per le opere prodotte durante il Ventennio, arte costretta
nei limiti dell’ideologia, ma che già conteneva un linguaggio
razionalista astratto in linea con quegli audaci esperimenti delle
architettoniche razionaliste di Edoardo
Persico e
Giuseppe
Terragni.
Al suo ritorno a Milano
dall’Argentina nel 1947, Fontana trovò però il suo studio
completamente distrutto dai bombardamenti alleati. Quel momento
diventa uno spartiacque, a causa di questa brusca tabula rasa, si
considererà della generazione di artisti del dopoguerra e la storia
della sua carriera diventa, effettivamente, la storia dei suoi ultimi
venti anni. Ispirato, ma al tempo stesso superando, il linguaggio del
Futurismo, elimina i supporti tradizionali della pittura e della
scultura.
Con l’atto di tagliare una
tela dipinta con un solo colore, Fontana oltrepassa lo spazio di
definizione e la tecnica convenzionale. Un atto che impugna l’intera
storia della pittura occidentale da cavalletto portandolo alla
conclusione che la pittura non è più l’illusione contenuta nelle
dimensioni di una tela, ma, piuttosto, un concetto dinamico che si
forma dalla fusione di colore, spazio architettonico, gesto e luce.
Così
nasce il concetto di spazialismo e da questo momento, Fontana
intitolerà le sue opere Concetti
spaziali.
Concetti,
appunto, perché i suoi assalti sulla tela non erano solo fisici,
erano modi per portare lo sguardo dello spettatore al di là della
pittura, in quella dimensione del possibile che chiamò “spazio
libero”.
autore: redazione "daringtodo.com"
autore: redazione "daringtodo.com"
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