La terza camera è un'
istallazione presentata da Flavio Favelli nel 2007 al Centro
Commerciale di Cinecittadue in Roma.
Intenzionata a comprenderne il
senso, la curatrice Simona Brunetti pone le domande che crede più
opportune:
Cosa vuole dire Terza Camera?
Perché la scelta di questa esposizione?
Favelli risponde che la Terza
Camera è un ambiente della casa di montagna di famiglia. Una
stanza che raccoglieva oggetti e mobili, come fosse una soffitta o un
ripostiglio, ma che differentemente dai comuni spazi domestici come
questi, era aperta agli ospiti e sempre ordinata.
E' un luogo della memoria che
suscita nell'artista il ricordo di un ambiente familiare ed evidentemente tanto suggestivo e sinistro da doverlo riprodurre in un
opera.
Lei parte dagli oggetti o dai
ricordi che questi oggetti le suggeriscono?
Favelli parte sempre dagli
oggetti per poi arrivare ai ricordi e mai viceversa.
Il collezionismo di suppellettili e oggetti vari spiega, è una passione ereditata dal nonno.
Pierluigi Sacco, giornalista di
“Flash Arte” lo definirebbe “un trovarobe” instancabile.
Come possono questi oggetti così
chiaramente tanto personali aprirsi al mondo dell'arte?
Quale il loro significato
intrinseco?
In questi ambienti egli è come
se rivivesse, stavolta come parte attiva e non subordinata, la sua
infanzia infelice, spesso piena di solitudine in ambienti quasi
mistici e pieni di oggetti più o meno preziosi.
Riaffiorano alla memoria i suoi
“viaggi d'arte”, che assieme alla madre condivideva per evadere
dalla quotidianità.
Per Favelli l'arte già da
bambino rappresentava uno strumento di libertà emotiva.
Forse è per questo che gli
oggetti di ieri divengono le opere d'arte di oggi.
Non solo tenta di esorcizzare i
suoi incubi infantili ma come direbbe Freud ne “il gioco del
rocchetto”, tenta di riappropriarsi della sua soggettività
smarrita.
Proviamo ad aprire una finestra
nella pratica psicoanalitica per tentare di comprendere meglio questo
mio rimando...
Durante le sue prime esperienze
di medico, Freud analizzando il comportamento di un infante
all'interno del suo nucleo familiare, rimase colpito da come il
bambino non soffrisse affatto l'abbandono della madre ogni qual volta si allontanava da casa.
Dopo averlo seguito per alcuni
giorni, Freud notò un comportamento anomalo e ripetitivo nei
confronti di un rocchetto, che il bambino lanciava, emettendo un
suono di evidente soddisfazione, per poi riprenderlo e ricominciare
l'azione del lancio, da capo.
Così facendo, sostiene Freud, il
bambino si liberava della frustrazione inconscia dell'abbandono
materno, divenendo parte attiva.
Era lui che ora abbandonava la madre/rocchetto, non più
viceversa il rocchetto/madre che lo abbandonava.
La diagnosi è una tendenza inconscia che definisce una "coazione a ripetere".
Considerando quindi un punto di vista più personale che non prettamente artistico e iconografico, questo aspetto della ripetitività, della "ri- produzione" della memoria, potrebbe rivelare delle dinamiche affettive interessanti nel modus operandi di Flavio Favelli.
Ri-allestendo quelle sale, egli
ripropone quegli stessi spazi della memoria affrontandoli a viso aperto, stavolta come adulto.
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