Newman...Newman.
La ripetizione invita inevitabilmente a
riflettere.
Quando si afferma che per comprendere
l'arte bisogna esser preparati si dice una banalità che spesso non
viene considerata. Senza una giusta riflessione infatti si affronta
l'opera con un bagaglio di preconcetti indiscutibilmente forvianti.
Il pregiudizio senza la conoscenza
sottintende un'evidente dato di fatto, che si chiama ignoranza.
Questa premessa sottolinea come
di fronte a personalità così profonde come è quella di Barnett
Newman, si debba cautamente procedere evitando di farsi soggiogare
dalle prime impressioni, come fece chi scrive la prima volta che lo
avvicinò.
Non comprendevo cosa volesse intendere
Newman con questi enormi muri colorati, divisi da fasce alternate in
maniera del tutto arbitraria nel mezzo dello spazio pittorico.
Non conoscevo il suo trascorso
lavorativo, quello che lo ha visto abbandonato da tutti coloro che
egli promosse nel corso della sua attività artistica, sia con saggi
sia con mostre dedicate o tramite numerose interviste a tema.
In poche parole ero completamente
disorientato dal suo lavoro che per me rimaneva un'incognita priva di
senso.
Rappresentava semplicemente la
modernità, tiepidamente intesa come la capacità di ridare
bidimensionalità alle immagini; la capacità di mostrare il colore
come strumento primario della ricerca pittorica; capacità di
esplorare lo spazio in maniera più meticolosa e meno caotica di
quella promossa dall'Espressionismo Astratto. Tanto bastava per me
nel promuovere Newman come ambasciatore del Minimalismo dei
successivi anni '60.
Forte di una preparazione figurativa
che credevo sufficiente, tutto ciò che distogliesse l'attenzione
dalla forma era incapace di suscitare interesse. L'Astrazione
era per me quella di Pollock non quella di Newman. I miei limiti
erano evidenti.
La figurazione era un porto
sicuro al quale attraccare. Avevo certezza di senso, certezza di forma e d' impianto
prospettico. Certezza di rimando storico ed un' iconografia
rintracciabile. Certezza di scindere tra ciò che sono io e ciò che
rappresenta l'opera.
Io sono il fruitore tu sei l'opera. Io
ti osservo e tu sei li per lasciarti scrutare.
Quando invece osservi qualcosa di
incompreso, di "astratto" appunto, cominci a chiederti di cosa si tratti ed allora finiscono
le certezze; la forma scompare, i limiti vengono meno, ti dimentichi
dello spazio circostante poiché senti quasi di esserci finito
dentro, tuo malgrado senza le giuste coordinate.
Ammiravo chi riusciva a stare di fronte
ai suoi dubbi, alle sue infinite interpretazioni senza tuttavia
subirne la grandezza.
Credo di aver voluto fuggire l opera di
Newman perchè incapace di affrontarla.
Nell'aprile del 1951 la seconda mostra
dell'artista 46enne Barnett Newman fu un fiasco completo, ancor
peggiore di quanto non fosse stata la sua prima personale svoltasi
sempre a NY l'anno precedente.
I suoi compagni astrattisti lo avevano
abbandonato accusandolo di averli traditi.
Ed effettivamente se si vede nelle
opere che precedono il 1950 quest'accusa appare del tutto
giustificata.
Se nelle prime tele infatti lo spazio
che circondava le bande verticali era mosso e impreciso, così da
accostarsi alle ricerche di Rothko e compagni, dopo gli anni '50 le
stesse tele ospitano delle campiture di colore più attente,
assolutamente delimitate nei bordi, prive di qual si voglia
"espressione" istintiva.
Quali allora le domande che suscitano i
suoi lavori.
1.Perche Newman rompe con il suo
recente passato?
Ciò che egli voleva era determinare
anzitutto lo spazio della tela poi quello dell'ambiente circostante.
Quando sostiamo difronte ad una campitura imprecisa la prima cosa che
salta agli occhi è la banda di colore diverso, la quale
immediatamente occupa il primo piano, allontanando lo sfondo sul
retro della visuale. Allora Newman colora sia spazio che banda con la
medesima modalità di stesura. Se guardiamo ora notiamo che spazio e
forma (la banda) sono un tutt'uno con la superficie.
2.Perchè la presenza delle bande?
Anzitutto “zip”. E' così che
Newman preferisce considerarle poiché uniscono e non dividono.
Quelle zip siamo noi. È la nostra presenza verticale che si rifà
alla tradizionale visione verticale propria dell'uomo. E siamo ancora
noi che in mezzo allo spazio ci troviamo a viverlo non sapendo di
esserne ai limiti o al centro, piuttosto spostati di un terzo al suo
interno.
3.Ancora, Perchè quelle dimensioni?
Perchè quelle dimensioni
rappresentano non solo lo spazio, ma il campo visivo, ed è per
questo che i suoi quadri devono essere visti da distanza ravvicinata,
per entrarci dentro e farne parte. Gli unici punti di riferimento
sono le zip presenti, che poi siamo noi.
Guardare queste grandi opere da una
distanza maggiore vorrebbe dire includere tutta l'opera in una sola
unità, cosa che è assolutamente il contrario dell'intento di
Newman, che intendeva intromettere non lasciar fuori.
Non c'è più profondità ne secondi piani, semanticamente non vi è più passato, non vi e più storia. Vi è al contrario un'unica dimensione di tempo e di spazio che è la superficie e perciò, il solo presente.
Newman tenta di azzerare la tradizione
pittorica per ricominciare da capo. Vuole tornare alle origine.
Ricomincia da noi, dalle persone, attraverso lo strumento principale
che è la visione, e lo fa attraverso una saturazione dei colori
rendendoli estremamente manifesti tanto da suscitare in qualche
sconsiderato la necessita forse inconscia di violentarla con tagli
selvaggi ed irriverenti.
Questa "reazione" la dice lunga sull' incapacità di
essere al cospetto di queste opere.
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