Sul Manierismo
A conclusione di uno studio e di ragionamenti riguardanti il
periodo chiamato incautamente ed in maniera del tutto semplicistica ”manierismo”, (quasi si
volesse per forza contenere una mole cosi grande di concetti e stravaganze entro uno scrigno che,
per quanto prezioso, risulterebbe troppo piccolo) credo sia giusto trovare il bandolo
della matassa ed augurarsi che questo esca allo scoperto.
Percorrendo un tragitto come questo è come se lo vedessimo
diramarsi in mille direzioni
differenti; In questo caso una chiave di lettura adeguata non
sarebbe sceglierne una ma
alzarsi fantasticamente da terra e lasciarsi cadere, a caso,
poiché ciò che rappresenta il XVI
sec. non è la finalità ma ciò che sperimenta per arrivarci;
non si cura di un risultato poiché è
esso stesso risultato di sé.Parola chiave credo sia il “contrapposto”, “l’antitetico”:tutto è il contrario di tutto, facce diverse di una stessa
medaglia, non curante di un significato
definitivo…Riforma e Controriforma, sperimentalismo e conformismo,”regola
e licenza”(A.Pinelli),
classicismo e anticlassicismo, naturale e antinaturale…Questi sono i concetti che abitano le menti dei personaggi del
‘500, siano essi artisti, poeti o
rappresentanti di chiesa.Il fine è il non definire. La risposta è il concetto espresso
nel mezzo del dualismo.D'altronde se ci si sofferma più
attentamente su ciò che scrive il Vasari nel suo proemio alla
terza età delle sue Vite,
ci si accorge che anche qui, nel pieno degli anni in cui viene
scritto
(1550 poi corretto nel 1568), c’è una contraddizione in
termini tra maniera come ”bella
maniera” e maniera come “ridotta a maniera”…due facce
appunto della stessa medaglia.Il termine è il medesimo ma riguarda momenti differenti.Nel primo caso la bella maniera è intesa come un traguardo,
tagliato nel suo libro da
Michelangelo, massimo esponente di una ricerca cominciata con
Cimabue e Giotto nel
“disegno”, matrice di tutto.Nel secondo ci sono significati differenti. Ridursi a maniera
simboleggia quasi una stucchevole
ripetizione che non può essere compiaciuta.Si può partire da qui per giustificare le due parole chiave di
“contrapposto” e “antitetico”.Lo stesso potremmo fare con due personaggi che meglio
rappresentano questo contrasto di
idee.
Prendiamo come punti di riferimento lo stesso Giorgio Vasari e
in quel momento il più
anziano maestro Jacopo Pontormo:il primo veste i panni di ambasciatore e guida di una scuola di
pensiero del tutto personale e
sicuramente conveniente…sempre al servizio della committenza
(in questo caso dei Medici),
“uomini da bene” come lui
stesso ama definirsi, rappresentante altresì di un contesto di
rigore
controriformista degli anni ’60 (il Concilio di Trento si
chiuse nel 1563).
Anni completamente differenti quelli in cui si muove il
Pontormo, in un'area di venti
riformisti che poi culmineranno con il Sacco di Roma del 1527
da parte dei Lanzicchinecchi
luterani agli ordini di Carlo di Borbone.
Vasari stesso ce lo presenta:
“…non avendo fermezza nel cervello andava sempre cose nuove ghiribizzando…andava sempre
investigando nuovi concetti e stravaganti modi di fare, non si contentando e non si fermando in
alcuno…la bizzarria e la stravaganza di quel cervello di niuna cosa si contentava giammai…”Cause di questo rancore, che sembra celarsi all’interno di queste frasi, sono competizioni
profonde contro “la cerchia del Tasso”(Battista del Tasso, artista vicino a Pierfrancesco Riccio, maggiordomo di corte dei Medici e cappellano della sagrestia medicea in san Lorenzo,
al quale furono affidate tutte le decisioni per le commissioni in campo artistico-culturale dalle
quali il Vasari fu in un primo tempo escluso).
Ma cosa più
importante è la totale diversità di
stile di vita, e di arte, condotta dai due.Vasari, attento sostenitore ed interprete di una imitazione
della natura che sia quanto più
veritiera;Pontormo, avanguardista ribelle di uno sperimentalismo sempre
sopra le righe.Ciò che scatenò gli artisti dai primi decenni del secolo è
stata la consapevolezza che ciò che di
perfetto dovesse essere fatto lo si era già fatto con
Leonardo, Michelangelo e
Raffaello…sommando poi quella pittura definita “senza
errori ” di fra Bartolomeo e
soprattutto Andrea del Sarto, si ebbe come un sussulto
istintivo che volgesse l’interesse
altrove.Parlando di sussulto istintivo parliamo di emozioni, di
inconscio, di ansie, turbamenti interiori
propri di artisti come il Pontormo e Rosso fiorentino che non
puntavano su una pittura
esaustiva ma coinvolgente.Ecco perché Vasari scrive”…si
aggiunse alla regola una licenza (libertà espressiva) che,
non
essendo di regola, fosse ordinata
nella regola, e potesse stare senza far confusione o guastare
l’ordine…”Una “licenza”
sintomo di un'ormai assodata dimestichezza con la perfezione della
natura e diun importante e
autonomo status
sociale.Questa licenza, sino al drastico
cambio di rotta delle regole controriformiste, diventava modus
operandi di ogni singolo
artista “libero”.In questo scritto c’è inoltre quello che rappresenta il
termine di “electio”:Partendo dal fatto che la perfezione nel ritrarre il naturale
si fosse già raggiunta, l’artista
prese licenza di rappresentare la natura portandola all’estremo
di una natura ideale,
prendendo le cose migliori che ella contenesse e ritraendole
insieme, maniera dopo maniera,
come si volesse aggiungere amore su amore, lacrime ad un
pianto, felicità ad un sorriso.Inevitabilmente però forzare la natura non ottenne plausi ogni
dove.Piacque però l’idea
dell’artificiosità di una “…garbata dialettica…–come
ci suggerisce il
Pinelli-…tra norma ed
eccezione,razionalismo e irrazionalismo,tra natura ed artificio…un
gioco
evasivo e venato di scettica ironia
dove le tesi e le antitesi si annullano o si stemperano…”Tutto questo però si traduce in una artificiosità naturale,
innata, quasi istintiva, semplice
”grazia ed eleganza”.Ricordiamo che accanto alla pittura e alla scultura troviamo
spunti anche in letteratura,
trovando personaggi quali Pietro Bembo e Pietro Aretino,
maggiori esponenti di uomini
letterati del secolo;Accanto ad essi ci sono opere quali “il libro del Cortigiano”
di Baldassarre Castiglione e “il
Galateo” di Giovanni della Casa, che esprimono concetti
legati ad un comportamento
modello, appunto di grazia ed eleganza, da assumere in società.Dalla grazia ed eleganza, nonché misura, dei comportamenti, ai
capricciosi voli pindarici di
opere dense di significato grazie all’uso dell’ ”ossimoro”,
in voga nella letteratura di tutto il
‘500 come figura retorica
predominante.…freddo sole, corri piano,
anticamente moderno, natura artificiosa…questi sono esempi dei
concetti che vengono espressi, portando un'eco, anche se non
immediata, nelle
rappresentazioni, in pittura così come in scultura:Nelle grottesche perfettamente adatte a simulare il concetto di
capriccio;nelle rappresentazioni di corpi contrapposti;in massicci e virili corpi maschili accompagnati dai sinuosi
corpi femminili;in movimenti continui e mai finiti.Oppure come ne “Gli Amori degli Dèi ” di Perin del Vaga
dove il Dio Ercole indossa vesti di
seta e la donna, Onfale, tiene tra le mani una clava.Ed in scultura con il “Ratto delle sabine “ di Giambologna,
nel suo contrapporre tre opposti
movimenti a simboleggiare le tre diverse età, uomo donna e
vecchiaia.Ciò che ci rivela questo secolo è un'accelerazione culturale,
che pone le sue basi
nell’imitazione della natura e che quasi la stravolge , a
modo suo, alla ricerca di nuove
sicurezze, perse nell’anima di un popolo che ha vissuto un
susseguirsi di vicende
storiche che, per quanto numerose e destabilizzanti, ben si
sposano con una cosi vasta
irrequietezza artistica.
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