da " L'incredulità del Caravaggio", di Ferdinando Bologna.
Prendo presuntuosamente licenza nei confronti del testo del Bologna, svelando tra le sue parole non dette, la qualifica di "sovvertitore sociale" per il Merisi.
Elevando la pittura di "genere" a pittura colta, e declassando quella ufficiale a profana, Caravaggio riequilibra le classi pittoriche dei "tipi".
Chi avrebbe mai detto che un cesto di frutti marci, per di più pericolante, potesse mai prendersi l'intera scena di un dipinto.
E chi avrebbe mai potuto immaginare che una prostituta potesse impersonare la Madre del Signore, per di più a capo chino sull'uscio della porta. Sembra poi oltremodo oltraggioso per la pittura seicentesca che il primo piano della rappresentazione fosse occupato da pellegrini scalzi e maleodoranti.
Così facendo questo artista del popolo, dipinge per il popolo.
La tradizione recente non gli interessa. Il decoro è un mostro dal quale fuggire per riprendere l'umiltà del naturale.
Questa è la lezione più grande del Caravaggio che mai è stata compresa fino in fondo da chi lo ha imitato.
Non sono le ambientazioni cupe, ma il senso di pietà ad essere messo in evidenza; quelle ombre fungono da strumento non sono fine.
Lo stesso senso di pietà che poi grida vendetta quando si fa grande recitando entro palcoscenici di notevoli dimensioni. Ecco perché le tele del Merisi diventano sempre più grandi, non è autostima ma servilismo nei confronti di
quella pietà. E' un grido di dolore e disprezzo a cui egli da fiato.
Il suo ego si mostra nei ritratti non nelle dimensioni.
Una mela marcia possiede tanta dignità quanto un ostia sacra.
La preghiera è la stessa fosse anche di un povero pezzente.
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