“Vorrei saper proclamare la dolcezza di fissare
sulla tela le anime estatiche e ferme, le cose immobili e mute, gli
sguardi lunghi, i pensieri profondi e limpidi, la vita di gioia e non di
vertigine, la vita di dolore e non di affanno”.
(Felice Casorati)
"[...] o si vive del rapporto con gli altri e l'io si scioglie in una relatività senza fine, ed è la vita, o l'io si assolutizza e taglia ogni relazione con ciò che è altro, ed è la morte." (Giulio Carlo Argan)
giovedì 29 dicembre 2011
venerdì 11 novembre 2011
domenica 4 settembre 2011
venerdì 5 agosto 2011
mercoledì 3 agosto 2011
sabato 11 giugno 2011
Sabrina Marconi
Sabrina Marconi..espressione dell'arte
libera e liberatoria.
Un raptus casuale ed indecifrabile si
scaglia contro la tela.
Il soggeto è l'arte stessa, che viene
decomposta e ridotta nelle sue componenti originarie,
materia e gesto.
l'oggetto è l'Es, la sfera
istintivo-affettiva che riaffiora libera da convenzioni di tradizione
e di formalità.
Un istinto sciolto dalle catene del
Super Io e dalla sfera razionale dell'Io.
Il fine della sua arte non è solo
l'Arte stessa del gesto, l'atto in sé della creazione; ma si scorge
in ciò che vi è tra gesto e impatto con la tela.
In quell'attimo fuggente si esalta il
genio di quest'artista, in cui si armonizza pulzione ed azione.
Sabrina non si ferma ad analizzare la
sua sensibilità, ma si fa carico delle emozioni e le getta sulla
tela secondo leggi del tutto indipendenti dalla volontà della
forma...ecco perchè informale.
Ciò che vediamo nelle sue tele è la
sua intimità..un intimità che quasi prende forma da sola e che da
sola insegna e impara.
Insegna a nutrirsi di passioni e di
eccessi, impara l'espressione dell'incoscio.
Non ci sono regole, non ci sono oggetti
non ci sono forme proprie.
Non ci sono chiavi di lettura, se vi
sono si possono scorgere non nella tela ma nel movimento del fare
dell'artista. Carpire anche solo fugacemente gli occhi di un artista
presa dall'impeto della comunicazione; rimanerne affascinati e
trasportati quasi a volerla imitare.
Restare accovacciati, in silenzio ad
ascoltare, nascosti dietro lo spigolo della porta e catturare
l'attimo creativo..fotografare nella mente la materia che da un
barattolo o da un pennello esce a mezz'aria ed impetuosa e spaventata
impatta con la superfice. É li che nasce la magia del dialogo tra
materia e superfice.
Le parole che scopriamo sotto il letto
della materia sono la prova che Sabrina vuole dirci qualcosa..ma l'Es
non si esprime a parole e le ferma prima anocra di esplicarsi.
Colori, sostanza, linee, macchie ed
ombre.
Un' inconsapevolezza dell'avvenire.
Incoscienza che ricorda gli occhi di un bambino incapace di dare
risposte ad una realtà che gli appare nuova per quanto possa essere
al contrario consumata.
E' la struttura della mente che si
scompone, come l'arte, nelle sue componenti fondamentali e le fa
vivere da sole, le rende indiendenti.
Il conflitto della mente, lo stato
d'animo di un individuo che allo stesso tempo si rifugia e rivive.
Maimuna
Sin dal principio le sue opere hanno
scosso la coscienza di molti, invitando chi guarda a riflettere.
Dietro le sue opere c'è l'espressione
di una vita vissuta a metà..libertà negata di una società ottusa e
violenta.
Le sue “bambole di pezza”
rappresentano null'altro che questo.
Nasce in Pakistan dove impara l'arte
del cucire in un convento francescano.
Poi la sua formazione Accademica a
Brera, che le permette di avvicinare il mondo della pittura.
Un periodo di isolamento. Cinque anni
nella campagna Umbra. Una solitudine necessaria che la porta
inesorabilmente a fare i conti con se stessa e a rinnovare la propria
espressione artistica affrontando la sua più grande paura. Esorcizza
il suo passato, il mondo che ha vissuto per molto tempo, ma torna a
farlo con gli occhi di un bambino, non più spaurito ma consapevole.
L'umiltà della creazione si unisce
alla sofferenza del ricordo. Un ricordo che è anche attualità.
Bambole di pezza e contatori legati sul
petto
Una farfalla imprigionata sul dorso
Un viso straziato da un lamento
disperato
Uno sguardo tarpato da un velo nero
impenetrabile e prepotente
Bambole che smettono di essere bambole
e che diventano vittima, degli altri e di se stesse, di un passato
che è ancora presente.
E ancora le mani, aperte quasi in cerca
di aiuto, in cerca di speranza.
L'umiltà della tecnica , la grandezza
del significato. Un Arte semplice di esprimere se stessa e la propria
gente.

Pierpaolo Bandini
L'uso
di camere luminose che sovrappongono l'immagine a diversi livelli,
permette a Bandini di “esprimere le immagini”...
L'espressione deriva da un esplicita
volontà di liberare ciò che è contenuto. L'immagine è il suo
oggetto di studio. L'opera diventa risultante di un percorso sofferto
e incontenibile. Bandini estrapola le personalità dei soggetti dalla
formalità e dall'ipocrisia della forma.
Una ricerca trasversale la sua che lo
porta a polemizzare questioni diverse:
Nel SOCIALE:
..con le mani insanguinate sul mondo in
una sovrapposizione di positivi e negativi, di buoni e cattivi,
bianchi e neri, egli sofferma lo sguardo alto sulle atrocità
dell'Uomo; che se da una parte è il primo, lui stesso, oggetto di
studio, dall'altra è un entità incontrollabile.
Nella serie del POTRAIT:
..mette la famiglia cristiana come la
risultante vittoriosa e sorridente tra lo scontro del San Giorgio e
il Drago

Nella serie di STORIA, in cui emerge
uno scontro
tra ieri e oggi, tra ciò che è stato
e ciò che è, riscattando il passato da un inquietudine tutta sua,
ma ponendola a confronto con un mondo peccaminoso e strafottente, in
cui un esile cristo deposto risorge in un Fighter pronto ed
energico..
..in cui un lamento di dolore diventa
un sorriso sfacciato.
In cui la preghiera di una Madonna
diventa lo sfogo erotico di un seno mostrato

Francesco Viscuso
.jpg)
Un attenta elaborazione dell'immagine
che cambia sublimandola l'approccio della visione.
Sovrapponendo fotografia e Poesia,
Immagine a parole, quali supporto l'uno dell'altro, Viscuso cerca una
comunicazione nuova.
La dirompenza delle sue espressioni
visive ci mette difronte una realtà cruda, suggestionata
dall'attinenza ad una realtà tangibile e non solo immaginativa.
Lo è, dirompente, la serie
del “CARNIVAL MOTEL”, in cui immagina un
manicomio abitato da personalità malate da monomania del
travestimento; lo è la serie “JUDGE
NOT WHAT IS BEST BY PLEASURE THOUGH TO NATURE SEEMING MEET”, in cui
una natura morta, riprende vita accanto alle parole di un antico
vangelo giapponese.
Si mette in discussione lui per primo,
analizza il proprio stato d'animo per offrirlo a colui che sa
ascoltare ed ascoltarsi.
Si perchè i suoi lavori non imprimono
solo un immagine fissa, ma fuoriescono dal supporto travolgendo colui
che le guarda, attonito e sbigottito.
Non ci dà risposte Viscuso perchè non
le cerca...questi lavori sono spunto di domanda.
Come mai la società ci ha cambiato
così profondamente con i suoi usi e costumi.
Come redimersi dai peccati ed elevarsi
ad individui liberi.
Non si pone al di sopra della società
fotografandola e restandone fuori, ma entra dentro di essa e le dà
un giudizio. Come “artista del proprio tempo” vive la società
cui appartiene pur non essendo sua complice.
“Quando
una mia immagine comunica agli altri, lì si manifesta la magia di
una corrispondenza, di un dono che, nel venire alla luce,ha espresso
la sua necessità di condivisione”.
sabato 9 aprile 2011
Michelangelo e Bernini, dalla Ragione al Sentimento
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Faccio riferimento a ciò che spiegai durante il mio esame sul primo modulo di arte moderna, parlando dell'operare di Michelangelo e del suo “ordine d'azione” all'interno della sua ultima produzione scultorea.
Rappresentai come in un sistema di assi cartesiani si potesse palesare il tragitto di lavoro compiuto da Michelangelo scalpellando la materia.
Intento del Buonarroti era, come sappiamo, strappare le sue figure dalla massa marmorea per portarle al di fuori di essa, come 'vittoria' al principio di eterna lotta tra corpo e anima.
Corrispondendo all'asse delle x la materia e quindi il mondo terreno (la materia), e all'asse delle y l'elevazione al divino (in accordo con le concezioni neoplatoniche di allora), è stato possibile determinare la loro risultante in un asse mediana; appunto quella volontà di “liberare” quelle anime dal dramma terreno.
Risultato?...un affascinante e turbolento “non finito”, praticamente un 'non risultato'.
Ora, esattamente un secolo dopo, all'inizio del XVII secolo, Gian Lorenzo Bernini trova una risposta a quel 'non finito' Michelangiolesco, che da tutti fu messo a fuoco come crisi esistenziale dell'artista.
La crisi in effetti ci fu ma era da ricondursi in un contesto di cambiamento;
Un epoca di riforma luterana e di immediata risposta controriformista, in cui le sicurezze rinascimentali andavano man mano scemando per essere definitivamente messe in discussione; e Michelangelo era decisamente un artista del proprio tempo; difficile pensare che ciò non lo riguardasse da vicino.
La sua crisi quindi viene giustificata dal contesto, che si riflette, in arte, nel periodo dagli storici definito come Manierismo, età delle sperimentazioni.
Ma il Barocco cos'è se non l'apoteosi del sentimento. Di un sentimento che si vede uscire dal vincolo della ratio per sfociare nella sua esaltazione più coinvolgente ed entusiasmante, il pathos.
Ecco cosa fa Bernini.
Forte di una cultura manierista, ereditata dal padre Pietro, e attento studioso delle opere classiche e Michelangiolesche, pone fine alle travagliate crisi del Buonarroti, culmine della cultura rinascimentale appena trascorsa, elevando definitivamente il sentimento, quindi l'anima più intima dei personaggi da lui scolpiti, con un dinamismo che comunque rimane in divenire, non è mai statico.
Ecco la definitiva rottura dall' “assolutismo della Ragione”, al “divenire e modificarsi del Sentimento”.
Lo schema cambia, da chiuso nella ragione ad aperto al sentimento.
E', nell'arte della scultura, un evoluzione che parte dalla 'Ragione' del rinascimento, continua col porsi delle domande nel manierismo, le quali ottengono risposta nel 'Sentimento' Barocco.
le immagini:
-Il Mosè, Michelangelo ( 1513-1515 circa, Basilica San Pietro in Vincoli a Roma)
-Schiavo che si ridesta, serie dei Prigioni fiorentini, Michelangelo (seconda metà degli anni venti del XVI sec., Galleria dell'Accademia di Firenze)
-Apollo e Dafne, Gian Lorenzo Bernini ( 1622-1625, Galleria Borghese, Roma)
giovedì 17 marzo 2011
se fosse Italia...
E' la libertà che si pone
come condizione necessaria nel dar vita a quel fenomeno che la Storia
dell'Arte chiama col nome proprio di Risorgimento e che identifica lo
spirito di mezzo secolo.
La sua traduzione in pittura si esprime nel tentativo di innovare le esperienze culturali conservatrici e quindi di combattere coraggiosamente le istanze di un ormai ripetitivo fare Accademico.
La grande moltitudine di “ correnti scuole regionali o municipali, ciascuna delle quali aspira a porsi come espressione dell'arte italiana” (G.C.Argan) partecipa alla codifica di un sentimento comune condiviso e non più imposto.
Il linguaggio figurativo non sarà più inteso come una questione meramente intellettuale ma dignitosamente popolare.
E allora si riscoprono valori come famiglia patria e fede.
Diventano essi stessi soggetto principale di una poetica che cambia profondamente il sentire comune, traghettando finalmente l'Italia verso quel cambiamento figurativo e culturale auspicato e già avvenuto nel resto d'Europa.
Esponente di straordinaria fascinazione è Domenico Induno, poeta del genere popolare meno noto ai molti ma estremamente capace di rimandare al pubblico i sentimenti fondanti della propria terra.
Le figure rivelano un pronto realismo, il parlottare del popolo è tangibile e manifesta il clamore suscitato dalla pace di Villafranca, lo sfondo è costituito da vecchi edifici civili consumati dalla polvere della guerra ma spesso ornati da fiori e arrampicanti, la luce ci mostra la speranza che qualcosa sta per cambiare.
Quella moltitudine di correnti unite per un fine comune corrisponde alla pennellata minuziosa dell'artista che accosta piccoli grumi di colori gli uni con gli altri, frammentando lo spazio scenico e portando chi guarda a volte ad allontanarlo, perché smarrito in tanto virtuosismo, a volte incuriositi ci porta ad avvicinarlo.
Infondo siamo un po così anche noi...allontaniamo ciò che ci circonda facendo finta di niente finché, pensandoci bene, capiamo di aver sbagliato e ci facciamo perdonare.
immagine
- l'arrivo del bollettino della pace di Villafranca, 1861-62, Domenico Induno, Milano, Museo del Risorgimento
La sua traduzione in pittura si esprime nel tentativo di innovare le esperienze culturali conservatrici e quindi di combattere coraggiosamente le istanze di un ormai ripetitivo fare Accademico.
La grande moltitudine di “ correnti scuole regionali o municipali, ciascuna delle quali aspira a porsi come espressione dell'arte italiana” (G.C.Argan) partecipa alla codifica di un sentimento comune condiviso e non più imposto.
Il linguaggio figurativo non sarà più inteso come una questione meramente intellettuale ma dignitosamente popolare.
E allora si riscoprono valori come famiglia patria e fede.
Diventano essi stessi soggetto principale di una poetica che cambia profondamente il sentire comune, traghettando finalmente l'Italia verso quel cambiamento figurativo e culturale auspicato e già avvenuto nel resto d'Europa.
Esponente di straordinaria fascinazione è Domenico Induno, poeta del genere popolare meno noto ai molti ma estremamente capace di rimandare al pubblico i sentimenti fondanti della propria terra.
Le figure rivelano un pronto realismo, il parlottare del popolo è tangibile e manifesta il clamore suscitato dalla pace di Villafranca, lo sfondo è costituito da vecchi edifici civili consumati dalla polvere della guerra ma spesso ornati da fiori e arrampicanti, la luce ci mostra la speranza che qualcosa sta per cambiare.
Quella moltitudine di correnti unite per un fine comune corrisponde alla pennellata minuziosa dell'artista che accosta piccoli grumi di colori gli uni con gli altri, frammentando lo spazio scenico e portando chi guarda a volte ad allontanarlo, perché smarrito in tanto virtuosismo, a volte incuriositi ci porta ad avvicinarlo.
Infondo siamo un po così anche noi...allontaniamo ciò che ci circonda facendo finta di niente finché, pensandoci bene, capiamo di aver sbagliato e ci facciamo perdonare.
immagine
- l'arrivo del bollettino della pace di Villafranca, 1861-62, Domenico Induno, Milano, Museo del Risorgimento
martedì 8 marzo 2011
auguri Beatrice
1599, Beatrice Cenci figlia
di Francesco Cenci, nobile romano, condannata a morte assieme ad alcuni
suoi familiari perché colpevole dell'omicidio del padre.
Una sentenza esemplare del potere, una pubblica piazza gremita di gente proveniente da ogni dove, pronta a giudicare ciò che non conosce, ma che inevitabilmente si siede a riflettere.
Una vita di abusi quella di Beatrice, segregata in casa subiva inerme le molestie paterne..ascoltava impaurita il gemere prepotente di un padre snaturato e vigliacco.
Incarna allora come oggi parole come libertà giustizia identità alterità
E allora la scelta di questo ritratto.
Si dice che Guido Reni, sia riuscito a ritrarla un attimo prima che fosse condotta a morte.
Uno sguardo che ci impone domande imbarazzanti
Lei un po eroina un po martire,
impaurita e consapevole, offesa ma fiera.
Un volto che ci attraversa, un volto che cerca un aiuto che non arriverà mai, ma che allo stesso tempo pone in se una forza straordinaria e generatrice.
Beatrice Cenci, dice Stendhal, sorpresa con gli occhi languidi, “piangenti calde lacrime” non dette, trattenute.
Rassegnata per la condanna imminente ma consapevole del suo gesto .
Si impari a trattenere lo sguardo su ciò che è meritevole, un quadro una donna.
Al di là di ognuna di esse non ci si ponga limiti, certi di trovare un essere da custodire, non un vanto da possedere
immagine
-ritratto di Beatrice Cenci, Guido Reni, 1599, Galleria Nazionale di Arte Antica, Palazzo Barberini, Roma
Una sentenza esemplare del potere, una pubblica piazza gremita di gente proveniente da ogni dove, pronta a giudicare ciò che non conosce, ma che inevitabilmente si siede a riflettere.
Una vita di abusi quella di Beatrice, segregata in casa subiva inerme le molestie paterne..ascoltava impaurita il gemere prepotente di un padre snaturato e vigliacco.
Incarna allora come oggi parole come libertà giustizia identità alterità
E allora la scelta di questo ritratto.
Si dice che Guido Reni, sia riuscito a ritrarla un attimo prima che fosse condotta a morte.
Uno sguardo che ci impone domande imbarazzanti
Lei un po eroina un po martire,
impaurita e consapevole, offesa ma fiera.
Un volto che ci attraversa, un volto che cerca un aiuto che non arriverà mai, ma che allo stesso tempo pone in se una forza straordinaria e generatrice.
Beatrice Cenci, dice Stendhal, sorpresa con gli occhi languidi, “piangenti calde lacrime” non dette, trattenute.
Rassegnata per la condanna imminente ma consapevole del suo gesto .
Si impari a trattenere lo sguardo su ciò che è meritevole, un quadro una donna.
Al di là di ognuna di esse non ci si ponga limiti, certi di trovare un essere da custodire, non un vanto da possedere
immagine
-ritratto di Beatrice Cenci, Guido Reni, 1599, Galleria Nazionale di Arte Antica, Palazzo Barberini, Roma
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